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Venerdì, 18 dicembre 2015

COP21: L’Accordo c’è ma si vincola solo al senso di responsabilità dei singoli Paesi

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“Rispetto a quello che avrebbe potuto essere, è un miracolo. Rispetto a quello che avrebbe dovuto essere, è un disastro”. Le parole di George Monbiot, giornalista del “The Guardian” ed esperto di questioni ambientali, sono probabilmente la sintesi più efficace con cui raccontare il reale risultato della Conferenza sui cambiamenti climatici di Parigi.

Sebbene un accordo, infatti, approvato da 195 Paesi, che cerca di dare delle risposte, sia uscito dalle sale della Conferenza il suo contenuto è ricco di aspetti tutti da verificare nel tempo. I 29 articoli racchiusi nelle 31 pagine di documento vedono principalmente sottolineati tre obiettivi: il contenimento delle temperature al di sotto dei 2° C rispetto ai livelli pre-industriali entro il 2020, con l’ambizione di contenimento a 1,5°C (mirando a raggiungere un picco globale delle emissioni di gas effetto serra nel minor tempo possibile per poi ridurre fino a raggiungere un equilibrio tra le emissioni e il loro assorbimento mettendo in campo tutte le migliori conoscenze disponibili), 100 miliardi di dollari l’anno per programmi di mitigazione e adattamento nei Paesi più a rischio dal 2020 e un sistema di verifica quinquennale dell’accordo.

Il documento richiama ripetutamente l’importanza delle pratiche di adattamento e mitigazione, passando attraverso lo sviluppo di tecnologie per aumentare la resilienza (art.10), che pone chiaramente la questione della deforestazione (art.5), della povertà, degli ultimi, dei popoli indigeni (artt.6-7), dell’importanza di saper affrontare gli eventi metereologici estremi (art.8), della Cooperazione tra gli Stati (art.12), a livello scientifico e tra gli esponenti di importanti gruppi ambientalisti non ha però evitato malumori e perplessità. Così come formulato esso pecca di un grave vizio: l’assenza di reale vincolo e di un sistema sanzionatorio per gli stati che in un futuro dovessero non rispettare gli articoli previsti: la “certezza della pena”.

E forse è proprio questa pesante assenza di controllo che fa si che la concretezza che ci si aspettava dall’accordo della Cop21, acclamato come il migliore che si potesse raggiungere, crei anche nel nostro mondo politico dibattito e perplessità. Senza controllo saranno rispettati gli obiettivi previsti? Come verrà affrontato il finanziamento verso i Paesi che ne avranno bisogno? In che modalità?

Altrettanto grave l’assenza di un accenno riguardo i combustibili fossili, la cui importanza all’interno delle logiche del cambiamento climatico sembra essere rimandata alla discussione della prossima COP di Marrakech prevista per il 2016 ma che invece aveva nell’immediatezza la necessità di essere alla base di un futuro progetto di sviluppo che mirasse al cambiamento.

Non dobbiamo dimenticarci che “Un mondo ‘molto al di sotto dei 2°C ed entro gli 1,5°C’ non è comunque il mondo che conosciamo e né la natura né le comunità vulnerabili sono al sicuro. Il limite di 1,5°C é una soglia minima di sopravvivenza per le popolazioni costiere e delle isole e per le specie in pericolo; ed é plausibile che si possa mantenere una certa sicurezza alimentare” come afferma Stephan Singer, direttore Energia del WWF Internazionale.

Lasciare al senso di “responsabilità” di ogni singola nazione, ad un “transparency framework” (art.13), “incoraggiando” i Paesi in Via di Sviluppo ad abbassare le loro emissioni, pone la questione concreta del raggiungimento reale degli obiettivi. Se da una parte tutto questo può essere sintomo di una forma di grande consapevolezza dall’altra sottolinea probabilmente l’impossibilità che ancora ad oggi l’Onu ha rispetto al vincolare le grandi potenze economiche all’interno di una struttura superiore.

E dunque quale destino per il nostro Clima e la vita sul nostro Pianeta? Dobbiamo credere che ormai dopo Parigi sia ben chiaro ai nostri governi che il tempo di sfruttamento senza limite della nostra terra sia finito e che dunque agiranno di conseguenza? Probabilmente sebbene ci sia un riconoscimento della complessità delle problematiche ambientali ben distante è invece la reale possibilità di immediato cambio di rotta, di abbandono del modello di sviluppo attuale ancora schiacciato sull’utilizzo dei combustibili fossili, deviato e immobilizzato dalle forti lobbie dei petrolieri e della grande finanza, dallo sfruttamento dissennato delle risorse che diventano troppo presto rifiuto nella logica perversa del consumismo, dalla avanzante desertificazione velocizzata dall’agricoltura dedita alla monocultura intensiva ricca di pesticidi e erbicidi, che conduce oltre 20 milioni di persone all’anno ad abbandonare le proprie case e i propri affetti a causa delle devastazioni ambientali, che vede la dissennata cementificazione e consumo di suolo padrona delle logiche espansive delle nostre città e che vede ancora nelle diseguaglianze sociali e nella mancanza dei diritti le basi drammatiche di conflitti sociali ed economici tra gli esseri umani.

Cosa fare allora? Mobilitarsi dal basso, riuscire a modificare le nostre abitudini senza intaccare il nostro benessere. Cercare anzitutto di vivere in modo più sostenibile, fare pressioni affinché anche il mercato tramite le nostre scelte di consumo possa abbandonare la produzione di quei prodotti che non rispettano determinati standard ambientali, privilegiando quelle imprese e marchi che si impegnano nella realizzazione di una vera e propria economia circolare che accompagni il prodotto dalla nascita al suo riutilizzo; cercare di privilegiare i mezzi di trasporto pubblico anziché le proprie autovetture private; fare una raccolta differenziata più attenta e fare pressioni affinché anche le nostre amministrazioni locali siano impegnate nella tutela dell’ambiente e della bellezza dei nostri territori, non solo quando vengono posti davanti ai grandi disastri ambientali che richiedono tempo e risorse, ma che la cura del territorio comporti anche una loro prevenzione.

Per noi il risultato di Parigi, che adesso vede l’ulteriore step l’entrata in vigore il trentesimo giorno successivo alla data in cui almeno 55 Paesi che producono almeno il 55% del totale dei gas climalteranti depositeranno gli strumenti di ratifica, accettazione, approvazione o adesione, è sicuramente insufficiente. Certo, non poteva non essere fatto nulla, ma doveva esser fatto molto di più. Adesso tocca noi, alla Sinistra e ai cittadini impegnarsi dal basso, facendo rete, con associazioni, movimenti ed istituzioni, lottare per ciò che è giusto, contro coloro che perpetuano modalità note ad un vecchio sfruttamento dei territori, incuranti della vita delle persone.

Spingere dal basso questa società verso un cambiamento reale che la conduca ad una nuova “rivoluzione” della sua storia? Facciamolo tutti insieme.

 

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