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Forum di Tunisi, i movimenti non si arrendono e sono pronti a rilanciare

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Il forum mondiale di Tunisi si prepara a chiudere dopo cinque giorni intensi. Oggi la manifestazione di chiusura è dedicata alla Palestina. Ma prima di sfilare per l’ultima volta in questa città meravigliosa ed accogliente si lavora fino all’ultimo per limare i documenti finali delle diverse tematiche affrontate in questi giorni. I primi ad aver discusso nelle assemblee di convergenza i loro documenti sono stati gli attivisti che si sono impegnati ad elaborare gli impegni e le piattaforme che saranno al centro delle iniziative dei prossimi mesi che riguardano Clima e migranti.

Clima

Per la prima volta al Forum uno spazio intero è stato dedicato ai cambiamenti climatici dove circa cento organizzazioni si sono coordinate per costruire un vero e proprio laboratorio in cui mettere insieme una strategia e delle risposte concrete che la politica non riesce a dare all’emergenza riscaldamento globale e peggioramento delle condizioni sociali. «Lottare per il clima – ha detto Pablo Solon ex ambasciatore all’ONU per la Bolivia e oggi direttore esecutivo di Focus on The global south – oggi significa lottare contro il land grabbing, la privatizzazione dell’acqua, la distruzione del territorio, la deforestazione. Tutte queste battaglie hanno una una cosa in comune: abbiamo verificato che i problemi cui si oppongono non possono essere risolti nei negoziati delle Nazioni unite. Se troveremo una soluzione, sappiamo che succederày perché non abbiamo imboccato la strada giusta solo all’Onu, ma perché saremo riusciti a tfarlo nelle strade, nelle nostre comunità, nella vita concreta delle persone».
Il Leit motif di tutti gli incontri è stato “cambiare il sistema”. Non basta più affermare che occorre diminuire le emissioni, lottare contro la privatizzazione dei beni comuni, bisogna incidere e l’unico modo è cambiare il sistema politico e sociale in cui viviamo.L’obiettivo quindi che si sono dati gli attivisti non è stato quindi di mettere in fila l’ennesima sequenza di esposizioni informate, di analisi e un susseguirsi di impegni. Per la prima volta le diverse associazioni hanno rinunciato alle proprie specificità per puntare a un progetto più grande, con priorità comuni, concordando gli strumenti da utilizzare e quelli da lasciar perdere, bollati come «false soluzioni da tutti/e». Questo ha prodotto un documento comune che è ancora in limatura e che prova a tenere insieme ecosistema e crisi economica.

Migranti

Uno dei temi caldi su questo lato del mediterraneo. Una ventina i seminari che si sono tenuti tutti i giorni che hanno avuto al centro le politiche migratorie degli Stati limitrofi. Nel mirino non poteva non esserci l’Italia e nell’assemblea di chiusura è stata chiesta la formazione di una commissione d’inchiesta sui comportamenti del nostro paese e della Tunisia.
Nel documento finale dell’assemblea le richieste sono per una libera circolazione delle persone, diritto di asilo e chiusura dei campi detenzioni. Si ribadisce il principio che i diritti fondamentali devono essere riconosciuti a tutti e ovunque, indipendentemente dalla nazionalità e dalla provenienza. Parrà una banalità ma purtroppo non lo è.
Tra le varie questioni affrontate vale sicuramente la pena riportare innanzitutto la volontà di coordinare iniziative contro la crescente consapevolezza o e critica degli effetti delle politiche securitarie europee verso gli assetti economici e politici del continente africano. Insieme al processo di esternalizzazione della frontiera europea che costringe i paesi africani ad eseguire rimpatri ed espulsioni collettive calpestando sistematicamente i diritti umani, si afferma l’imposizione di nuove relazioni internazionali tra gli stessi paesi africani: è a Bruxelles, ad esempio che si decide la politica dei visti della Mauritania verso i paesi confinanti, constringendo questo paese ad adottare una legge sull’immigrazione che introduce l’obbligo del permesso di soggiorno per i cittadini africani che attraversano il paese nel loro percorso verso l’Europa, oppure del Mali, dove recentemente con fondi UE è stato finanziato un sistema per il controllo biometrico degli accessi sul territorio nazionale. Campagne come Watch the Med e FrontExit presentate in questi giorni al Forum, assumono quindi l’obiettivo di costruire reti di pressione sugli organismi politici sia europei che africani, partendo dalla consapevolezza che le rivoluzioni della primavera araba hanno aperto un varco importante per rivendicare trasparenza e partecipazione rispetto agli accordi di cooperazione e sviluppo.

Presente al forum anche una delegazione dei rifugiati del campo di Choucha. Sono i profughi della guerra in Libia arrivati in tunisia che da ormai due anni sono stati posteggiati in un campo ONU che però ha annunciato che chiudera nel maggio 2013. Sono rimasti in 1300 provenienti da 13 paesi differenti, la maggior parte originaria del Sudan, della Somalia, della Nigeria, dell’Eritrea, dell’Etiopia e del Ciad. Alle 400 persone a cui è stato riconosciuto lo status di rifugiato è stato però rifiutato l’accesso ai programmi di reinstallazione. L’UNCHR vuole integrarli localmente in Tunisia grazie all’aiuto di fondi dal governo tedesco, piuttosto che autorizzarli a raggiungere l’Europa. Un perfetto esempio di come l’Unione europea porta avanti la sua politica di esternalizzazione delle frontiere. A fine febbraio, questi rifugiati hanno organizzato una manifestazione davanti alla sede dell’UNCHR a Zarzis, esigendo un posto in una nazione con diritto di asilo. Non si sentono sicuri in Tunisia, dove non hanno ancora ottenuto lo statuto legale in quanto il paese non dispone di una legge sull’asilo.

Le altre tematiche del forum

Diritti sindacali, nuove regole per il commercio, la condizione della donna, i giovani, le grandi opere inutili sono tutti al lavoro per stendere le loro agende. Sicuramente gli appuntamenti che vedrà questi movimenti di nuovo riuniti sono l’Alter Summit di Atene il 6-7 giugno prossimo, il vertice Mercosur che si terrà in Uruguay sempre a giugno, e in particolar modo l’appuntamento in Indonesia a Bali dove nel dicembre prossimo si terrà la nuova ministeriale della Organizzazione mondiale del commercio (Wto): sarà qui che che sarà lanciato un nuovo ciclo di liberalizzazioni. Le misure hanno già un nome, il “Bali package” che prevede una stretta sulla proprietà intellettuale, ma soprattutto un nuovo trattato internazionale sui servizi (ISA) che potrebbe rapidamente portare, ovunque nel mondo, alla svendita e alla privatizzazione dei beni comuni come acqua, energia, sanità e comunicazioni.

Simonetta Cossu

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