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Martedì, 8 marzo 2016

Green Factor Sybaris, avanti tutta sui cambiamenti climatici. Partendo dal 17 aprile dicendo Sì al referendum

trivelle

Si è concluso domenica Green Factor Sybaris, un territorio di rara bellezza che si estende dalle verdi colline, ai Monti del Pollino e discende lungo l’intera Piana di Sibari, la terra più fertile e generosa della Calabria, una delle piane più grandi d’Italia con oltre 475 kmq di superficie, una campagna lussureggiante dal colore verde vivace di agrumeti ed uliveti che si protendono fino alla costa, dove eravamo, a Corigliano Calabro. Nel Sud, nella Magna Grecia di cui fa parte anche la terra in cui sono nata e cresciuta il Salento, e che come tale sento così familiare e comprendo. Nelle sue bellezze come nelle sue contraddizioni, che la accomunano al Sud d’Italia e ai Sud del mondo. Le fragilità fisiche e politiche, le disuguaglianze che crescono sempre più, l’ingiustizia sociale che regna sovrana, l’assenza di una visione e di un vero programma di interventi determinano un’immagine di questo sud come di una terra perduta, dove la politica sbarca il lunario, galleggia e si interessa più alle prossime elezioni che alle prossime generazioni. Che intanto emigrano, restano e si ammalano, muoiono a volte dentro e a volte fuori.

Se pensiamo poi ai soldi che vengono mal spesi, diventiamo pazzi. L’Italia spende per gli inquinatori 42 volte quello che spende sulle politiche climatiche. Il referendum che sosteniamo e ci auguriamo diventi il primo vero campo di prova per la costituzione di una sinistra italiana capillare e diffusa, costerà alle tasche dei contribuenti 360 milioni che potevano essere risparmiati se solo si fosse deciso di accorparlo con le amministrative di giugno. Ma, il dubbio vien spontaneo, gli interessi delle lobby del petrolio e di qualche potente multinazionale valgono ben più dell’esercizio democratico: meglio spendere 360 milioni per far fallire un referendum che potrebbe far fallire interessi forti e sporchi. Meglio persino usare il falso argomento dei posti di lavoro che queste maledette trivellazioni garantirebbero che investire quei soldi in posti di lavoro nuovi in rinnovabili o efficientamento energetico. Invece li stiamo perdendo i posti di lavoro in questi settori. E vogliamo garantire che rimangano quelli nelle piattaforme in mare, pochi e dannosi per se e per l’ambiente intorno.

Il nostro splendido Sud, e il suo splendido mare meriterebbero invece che si ragionasse a partire dal turismo, vera prima fonte di ricchezza ormai per queste popolazioni sempre più povere e senza speranza. Nell’agricoltura di una terra fertile e saporita. Nel welfare di prossimità che non è un servizio ma una relazione. Nell’innovazione che crea lavoro sostenibile e utile. Nella solidarietà e nell’ospitalità che da sempre ci caratterizzano. Nella responsabilità che se adeguatamente stimolata questi abitanti vogliono assumersi per la loro terra e per i loro figli e figlie che sono stanchi di veder fuggire rassegnati.

Ecco, la vera priorità a me pare questa qui, combattere la rassegnazione che affligge questa terra, che è terra di fuochi quanto la Campania, che è terra di ndrangheta e malaffare, che è terra di sfruttamento e privazione, ma che merita di provare almeno a lottare per cambiare.

Non serve un forte statalismo, serve un forte protagonismo delle donne e degli uomini del Sud. Serve dire basta alle 409 vite parallele, come le definiva ieri Antonio Guerrieri in riferimento alle comunità calabresi che non fanno rete e non agiscono in sinergia. Bisogna recuperare il senso profondo di una mobilitazione collettiva che restituisce un’identità alla rassegnazione che l’annega. Serve un forte atto di volontà di tutte e tutti, ma in primis di coloro che oggi si sentono impegnati, a partire dal referendum del 17 aprile, a sostenere le ragioni del SI e dunque della costruzione di una sinistra italiana all’altezza delle sfide dell’oggi, avanti a tutte quella contro i cambiamenti climatici e i disastri ambientali. Ora o mai più con convinzione e fiducia, vamos.

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