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Venerdì, 4 luglio 2014

Il Bubi e la Buba

Bundesbank verzichtet auf Abwahlantrag gegen Sarrazin

Il Bubi ha fatto arrabbiare la Buba, già al primo giorno del semestre europeo. Ne vedremo delle belle, altro che volto annoiato dell’Europa intravisto dal selfie. Come chi è il Bubi? L’è il Matteo, il Bubi, il ragazzino. In tutto il Continente ormai i giornali lo chiamano così, e primo di tutti la Bild tedesca, cinque milioni di copie vendute ogni giorno. Il Bubi, su questo l’intera stampa tedesca è d’accordo, è uno dei pochi in circolazione che può tentare di ringiovanire la “vecchia zia”, cioè l’Europa. Anche se, aggiungono guardinghi, “deve passare dalle parole ai fatti”. Lo aspettiamo anche noi in Italia.

La Buba non è la su moglie (che di cognome fa Landini, e già solo questo ci fa ben sperare). La Buba è nientemeno che la Bundesbank, il forziere a Francoforte sul Meno, le conseguenze delle sue scelte sulle nostre vite quotidiane, dalle isole Aran a Ikaria, passando a volo radente sopra tutta l’Italia. Dunque il Bubi l’è arrivato a Strasburgo e ha esibito dinanzi ai 751 parlamentari europei il suo debutto continentale. A fianco l’icastica (è un sincero complimento) Mogherini ad ascoltare compìta. Più in là Pittella, il rubicondo, a suscitar l’incipit dell’applauso. Al centro lui, Bubi il callido (usiamo questo desueto latinismo per tenere il passo con le tante citazioni classiche del Bubi, qualcuna persino azzeccata).

Il Bubi parla a braccio e nessuno se l’aspetta, proprio come fece quando andò al Senato per sfiduciare l’istituzione a cui il suo governo chiedeva fiducia. L’avrebbe fatto il Monti, l’avrebbe fatto il Letta? Impossibile solo a pensarci. Ma il Bubi è uno di quei tre italiani (gli altri due sono Grillo e Crozza) che detestano leggere degli appunti scritti e vanno dritti al cuore delle persone: l’effetto, sia esso comico o pubblicitario, si raggiunge prima e risulta quasi sempre efficace. Tre cose del suo abilissimo e riuscitissimo discorso ci hanno colpito.

La prima quando ha detto, testualmente: “Vorrei essere chiaro: l’Europa vive una difficoltà congiunturale economica”. La seconda, quando è entrato più nel merito: “Non credo che possiamo sottovalutare la questione finanziaria”. E infine, quando ha rivelato le sue vere intenzioni: “Noi non vogliamo modificare i Trattati”. I giornalisti di mezzo mondo già si apprestavano a chiedergli qualcosa del tipo: perché chiama “congiunturale” una crisi che dura da sette anni e non è ancora finita, non è meglio dire “strutturale”? Oppure: lei dice “difficoltà”, ma è la parola giusta, vista la situazione? O ancora: ci vuole svelare chi è quel temerario che sta “sottovalutando” la questione finanziaria, quella che ci ha messo (quasi) tutti col culo per terrà?

E infine: ma almeno un ritocchino ai Trattati che hanno aperto il varco alle bieche politiche di austerity no? E invece non c’è stato modo. Il Bubi ha scartato di lato ed è finito da Vespa. Grandioso, anzi, meglio, callido. Ingenuamente ci chiediamo: fino a quando? Fino a quando può continuare una situazione che, dalla Grecia alla Scozia, vede le popolazioni sul lastrico, impoverite dal lavoro ridotto a cenere che la finanza (non sottovalutiamola) ogni giorno brucia nel nulla? Fino a quando si potrà reggere il vento dell’antieuropeismo e del populismo, così impetuosamente registrato dal voto, contrapponendogli i discorsi a braccio delle classi dirigenti che considerano “congiunturale” la crisi più devastante degli ultimi secoli e che pensano di risolverla dentro il perimetro di Trattati fatti a brandelli da quella finanza che, diavolacci noi, abbiamo sottovalutato? Fino a quando possiamo resistere disputando con tutto il dispiegamento del sistema mediatico attorno ai battibecchi tra popolari e socialisti europei su un accordo sulla “flessibilità” che nessuno spiega esattamente cos’è, né se quell’accordo c’è, dov’è, chi l’ha sottoscritto e cosa c’è scritto, sempre che sia scritto.

Fino a quando potremo pensare di cambiare l’Europa, di invertire la rotta, se andiamo a Strasburgo per dire, en passant, che gli adempimenti e le scelte che l’Italia farà in questo semestre che presiede sono in un documento lasciato alla presidenza del Parlamento? Ne vogliamo discutere? Di quelle 81 pagine di cui pare si componga c’è un’idea-guida, una priorità assoluta, una strada nuova che s’intravveda, o ci si accontenta di dire quel che già da tempo tutti sanno vivendolo sulla propria pelle, cioè che “il solo rigore finanziario non porta né crescita economica né posti di lavoro”? A queste conclusioni c’era già arrivato il Fondo Monetario, che proprio quelle politiche conosce meglio di altri per averle imposte e praticate su di noi. Non ti basta Bubi, stavolta, correre veloce se la strada su cui cammini è quella dove, passato il semestre, ti ritrovi addosso alla Buba.

 

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