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Martedì, 26 maggio 2015

Il Giudice e il Ministro

magistrati

C’è stato uno scontro tra il giudice Alessandro Criscuolo, Presidente della Corte Costituzionale, e il ministro Giancarlo Padoan, responsabile del governativo dicastero delle Finanze. L’argomento, come è noto, ha riguardato la sentenza della Consulta sul blocco dell’adeguamento al costo della vita delle pensioni, che fu deciso ai tempi del governo Monti. Diritti sociali di cittadinanza versus vincoli di bilancio. Gli uni a fondamento dell’antico patto costituzionale, gli altri aggiunti, con frettolosa e incauta legge costituzionale, nel 2012, per dimostrare a Bruxelles che anche l’Italia aveva capito la lezione ed era in grado di “fare i compiti a casa”.

Che una sentenza della Corte diventi argomento di discussione e anche di critica, da parte dell’opinione pubblica variamente intesa, in un sistema democratico è nell’ordine delle cose. Che diventi oggetto di sconfessione delegittimante da parte di un altro potere dello Stato – e che potere! – è invece tutto un altro capitolo. Capitolo imbarazzante e soprattutto preoccupante, in una fase storica come quella che l’Italia attraversa, così segnata dal processo di logoramento dell’ordinamento democratico.

Governo dei tecnici quello di Monti, e una tecnica la ministra Fornero, protagonista della riforma. Ma anche il ministro Padoan è un tecnico. Tutto sta a chiarire che oggi, nell’epoca del dominio dell’economia sulla politica, i tecnici legati al mondo della finanza hanno più potere e contano di più dei politici, per il motivo che i loro incarichi conseguono da nomine o indicazioni dall’alto, mentre i politici sono ancora costretti a fare i conti con l’impiccio del consenso popolare. Non a caso Renzi ha mandato in avanscoperta il suo ministro tecnico a menar colpi contro la sentenza della Consulta, lui limitandosi a compunti commenti sull’immane compito con cui il governo deve fare i conti dopo la sentenza. E insieme, da abilissimo tattico qual è, cogliendo l’occasione per confezionare il dovuto pensionistico ex sentenza in formato mini nonché in specie di un altro bonus elettorale.

Ovviamente, come altri segnali e vicende dimostrano, c’è un lungo pregresso che spiega il punto di rischiosa crepatura istituzionale a cui siamo arrivati. Berlusconi, per esempio, nella campagna contro i “comunisti”, annidati secondo lui in ogni luogo in cui operasse la magistratura, aveva fatto della Corte uno dei suoi bersagli prediletti. Ma qui, va detto con chiarezza, siamo oltre la lagna vetero-ideologica di cui l’ex Cavaliere si faceva vanto presso i suoi sostenitori. Qui siamo a un ministeriale e circostanziato richiamo disciplinante nei confronti della Corte: richiamo fatto dal Ministro delle Finanze per affermare perentoriamente l’ordine superiore delle scelte economiche – di Palazzo Chigi o di Bruxelles non importa, purché economiche – rispetto all’interpretazione del rapporto tra quelle scelte e i diritti sociali che la Corte ne dà. Per Padoan l’economia ha la meglio sul diritto e sui diritti e nessun potere terzo può intervenire a rimettere in un altro ordine le priorità.

La Corte costituzionale rientra così, per allusione neanche tanto velata, negli impicci del sistema, in quel groviglio di inutili corpi intermedi – in cui per il premier rientra tutto – di cui Renzi si vuole sbarazzare, al massimo depotenziandoli. Fantasmi della democrazia costituzionale. I rischi di ulteriore logoramento del funzionamento democratico dell’ordinamento, derivanti dalla combinazione tra nuovo Senato e Italicum e dal completo controllo della maggioranza sul sistema istituzionale che ne potrà derivare , sono ben prefigurati in questa vicenda. Governo, Parlamento, nomine dei giudici costituzionali che ancora mancano perché il plenum della Consulta completo: è in gioco nei prossimi mesi una partita molto esemplificativa delle dinamiche in atto.

Lo scontro soprattutto mediatico avvenuto tra Criscuolo e Padoan, a suon di dichiarazioni e interviste, è quanto mai velenoso come tutto ciò che riguarda oggi la vita pubblica, le istituzioni, la politica, quando diventa, come di continuo diventa, materia non di libero confronto tra posizioni diverse ma dell’insensato e adrenalinico intrattenimento del tutti contro tutti. Così i profili di ogni questione si slabbrano nel cicaleccio demagogico e nelle suggestioni populistiche più diverse, sulle più diverse questioni, mentre si perdono la ratio e il senso delle partite in gioco. Che sono tante e diverse. In questo caso, appunto, la tenuta dell’ordinamento democratico, come la Costituzione prevedeva e come ormai non funziona più.

La cosa peggiore che potrebbe accadere – e sta di fatto accadendo – è che quest’ ultimo scontro istituzionale venga metabolizzato, “normalizzato” e quindi banalizzato e accantonato, entrando però come veleno nei processi di formazione dell’opinione pubblica. Assuefazione e adattamento. Governo all’attacco, Corte sulla difensiva? Non c’è problema, come nella pubblicità. Che c’è di meglio di uno scontro a quel livello, per animare gli insulsi talkshow, che riempiono di vuoto il vuoto della democrazia rappresentativa? Poi si passa al prossimo e così via.

La Carta italiana del 1948, nel grande ciclo storico del costituzionalismo novecentesco, fu un approdo particolarmente esemplificativo della forza del patto sociale tra capitale e lavoro messo a fondamento di quel costituzionalismo. Dove i soggetti del lavoro e le condizioni del lavoro presero il posto o si affiancarono all’individuo proprietario al centro della concezione liberale e i diritti sociali divennero elementi costituenti della cittadinanza, messi direttamente sotto tutela della Repubblica. Ma le Costituzioni diventano soltanto chiffons de papier se lo spirito dei tempi non le sorregge più e la tensione democratica che le aveva messe al mondo deperisce. L’esaurimento è sotto gli occhi di tutti ed è in primo luogo esaurimento della democrazia rappresentativa. Questo è oggi il problema.

Ed è un problema di cui occuparsi se si lavora per liberare il presente e riaprire il futuro: oltre i richiami a come era verde la nostra valle, a come era bella la nostra Costituzione. La democrazia non vive se non c’è sentimento, relazionalità, senso e pratica di essa.

 

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