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Giovedì, 13 novembre 2014

Intervista a Claudio Carnieri: «Senza le acciaierie di Terni non ci può essere una politica industriale italiana»

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Alle Acciaierie di Terni sono giorni difficili. I lavoratori sono in sciopero permanente e sono in attesa di capire che ruolo il governo italiano intende giocare per il loro futuro. Ma in gioco non ci sono solo le vite di centinaia di famiglie, c’è qualcosa di ancora più grande: la politica industriale di una nazione.

Per capire meglio di cosa stiamo parlando abbiamo parlato con Claudio Carnieri ex presidente della regione Umbria e oggi presidente dell’agenzia Umbria Ricerche. Conosce bene l’acciaieria di Terni, suo padre era operaio della fabbrica ed è stato testimone in prima persona, quando governava la regione, dell’arrivo dei Thyssen nel sito industriale.

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Ci dice come si vive in Umbria oggi?
Vorrei partire intanto dando un dato di cui si parla molto in questi tempi, la portata della crisi che si vede dal Pil. Se infatti la crisi si è abbattuta pesantemente su tutto il paese Italia provocando una perdita del Pil di 9 punti, nella nostra regione si è registrata una perdita del Pil pari a 12 punti. Sono dati della Banca d’Italia presentati a maggio di quest’anno e si vede che la crisi ha pesato di più sull’Umbria che in altri parti del paese. E si vede chiaramente come l’economia umbra dipenda molto dal mercato interno e dalla domanda. E come ci sia una carenza di internazionalizzazione.

Quindi la chiusura degli impianti di Terni potrebbe avere ricadute ancor più pesanti per la regione….
Sicuramente. Ma ci terrei a dire una cosa. La vicenda della Thyssen è prima di tutto una vicenda italiana ed europea. E poi anche una grande vicenda umbra e ternana. La Terni è quasi il 20% del Pil della Regione. E dunque la vicenda di Terni è un pezzo fondamentale della dinamica della siderurgia italiana.

Ci spiega perché Terni è così importante?
Si può dire che la produzione dell’acciaio in Italia ha ormai tre siti fondamentali che hanno tutti gravissimi problemi aperti: Terni, Taranto e Piombino. La principale differenza è che a Terni c’è una struttura di straordinario livello tecnologico e di qualità, non solo a livello italiano ma europeo. E’ di proprietà della Thyssen, certo, ma è anche un pezzo fondamentale dell’apparato produttivo nazionale. Il governo italiano non può pensare di fare una politica siderurgica che è parte fondamentale di una politica industriale senza fare un discorso su Terni.

La situazione attuale è tesa e complessa alle acciaierie. Incominciamo a determinare quali sono i piani di questa vertenza. C’è il lavoro, la città e…
Il problema vero è il piano industriale di Thyssen. Questo è il punto cruciale. La competitività dell’area ternana, degli stabilimenti di Terni è legata al fatto che si tratta di un sito integrato. Significa che ha un area a caldo e un area a freddo. Avere l’area a caldo significa avere una molteplicità di possibilità tra le quali la fucinatura, oltre che la lavorazione dell’acciaio. Significa avere una grande flessibilità per rispondere alle esigenze del mercato che non è solo continentale ma mondiale. Quindi, come ho detto, sono impianti avanzati e non obsoleti.

La prima ferita che ha avuto Terni, ed è in conseguenza di questa che siamo arrivati a questo punto, ha origine quando la Thyssen decise di vendere tutta la sua conglomerata siderurgica, che aveva organizzato nel gruppo Inoxum e di cui faceva parte Terni, e di venderla ai finlandesi di Outokumpu. E’ poi venuta la sciagurata decisione dell’Unione europea di applicare a questa nuova multinazionale l’idea del rispetto della concorrenza europea.

Ci può spiegare meglio?
Thyssen aveva una grande area di produzione siderurgica che aveva componenti in tutto il mondo, dall’Alabama al Messico, dagli stabilimenti in Germania a Terni in Italia e a Shanghai in Cina. Quando si è riorganizzata un paio di anni fa, ha creato una conglomerata e l’ha chiamata Inoxum per poi venderla ad una multinazionale finlandese, la Outokumpu. A quel punto però è intervenuta l’Unione europea, anzi più precisamente la parte della Commissione che si occupa della concorrenza, dichiarò che per essere in regola la Outokumpu si doveva sbarazzare di una quota di produzione perché altrimenti si sarebbe trovata in violazione delle norme che regolano la concorrenza in Europa. In pratica la Commissione europea ha avanzato un criterio della concorrenza continentale che si può applicare alle “mele e alle pere”, ma che non si può applicare all’acciaio che invece sottostà a una mercato competitivo mondiale.

A quel punto cosa è successo?
A quel punto Thyssen si è ripresa la Terni ed un’altra azienda produttrice molto sofisticate delle leghe e ha cominciato a pensare a che farne considerando che da tempo non voleva più avere una inclinazione siderurgica come aveva avuto in passato. C’è stata dunque una lunga fase d’incertezza, come se le acciaierie di Terni fossero state “senza padre e senza madre”.

Ora siamo arrivati al punto di scelta. Il piano industriale avanzato da Thyssen aveva puntato ad un ridimensionamento delle acciaierie colpendo l’area a caldo, in pratica chiudendo uno dei due forni. Perciò quel piano è stato respinto dai lavoratori, dalle organizzazioni sindacali, e dalle istituzioni locali e regionali. La prima questione da risolvere e che Thyssen avanzi su Terni un piano industriale coerente con la qualità industriale del sito. Terni è infatti un sito, come detto, molto avanzato per la tecnologia e soprattutto per la qualità integrata degli impianti. Per qualità integrata significa che le tipologie di lavorazione dell’acciaio sono più ampie. Gli impianti di Terni, dove ci sono due forni, la cosiddetta area a caldo, è molto competitiva perché può produrre sia laminati inox ma anche il titanio. E soprattutto è possibile la costruzioni di grandi manufatti, ad esempio come i grandi rotori per le centrali di energia elettrica, cioè lavori di fucinatura. Questa è la prima questione centrale impedire che ci sia un ridimensionamento delle acciaierie di Terni.

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Quali condizioni potrebbero essere messe in campo per permettere a Thyssen di presentare un piano industriale? Si è parlato di una riduzione dei costi energetici…
Questa è il grande punto della siderurgia italiana. Terni è diversa dall’impianto di Taranto dove arrivano materiali ferrosi e devono essere usati procedimenti come quelle delle cookerie (a carbone). A Terni si lavorano i rottami, e si lavorano usando energia elettrica. Per questo è una siderurgia molto avanzata e anche ambientalmente più sostenibile.

E sulla questione lavoro e politiche industriali che cosa pensa?
Io credo che sono tre i punti che vanno tenuti insieme. Il primo punto. Mantenere il carattere integrato di questo sito avanzato della siderurgia italiana. Thyssen vuole ridimensionarlo e ha proposta di chiudere un forno. Questo è un errore e sorge qualche dubbio sul perchè. Quando Thyssen ha venduto il conglomerato Inoxum ai finlandesi, due degli impianti che si trovavano in Germania avrebbero dovuto chiudere o avere una riconversione ma oggi si è deciso di tenerli aperti e ci si sta investendo. L’idea di ridimensionare l’area ternana potrebbe avere come obiettivo quello di favorire quei due impianti tedeschi. Quindi il primo obiettivo del piano industriale Thyssen dovrebbe essere quello di salvaguardare il carattere integrato dell’impianto e garantire la produzione di almeno un milione di tonnellate di acciaio. Perché se si chiude un forno significa che hai intenzione si spostare una quota di mercato da qualche altra parte.

Secondo punto. Ci sono problemi di costi e qui il governo italiano deve fare la sua parte, non solo per Terni, ma anche per Piombino e Taranto. Perchè se l’Italia vuole avere una politica siderurgica che sarebbe fatta in Italia dagli indiani a Piombino, dai tedeschi a Terni e dai franco-indiani a Taranto, il governo di Roma deve avanzare una proposta sul costo dell’energia che non varrà solo per Terni.

Poi c’è il costo del lavoro. Il governo italiano deve spingere il gruppo Thyssen, qualora fosse necessario affrontare problemi relativi al lavoro, ad utilizzare strumentazioni avanzate come i contratti di solidarietà che salvaguardino la qualità del lavoro di Terni dove si trova un qualità della manodopera altamente specializzata e profondamente legata ai destini dell’azienda come ne fa parte tutta la città.

Terzo punto. Terni non è solo acciaio. E’ una grande area industriale. L’Unione Europea, ma anche l’Italia, ha detto negli ultimi tempi dopo le sciagurate politiche degli ultimi 20 anni che è necessario riprogettare una nuova fase delle politiche industriali. Obiettivo portare il Pil del manifatturiero europeo al 20%. Allora Terni ha bisogno anche di strumenti finanziari e di politiche di accompagnamento perché una nazione che vuole fare politiche industriali lo potrà fare prima di tutto in quelle aree dove l’industria è anche l’anima urbana. A Terni l’acciaieria non è una intrusa è il cuore storico di Terni. Tutti sanno in Italia ed in Europa che la siderurgia italiana incomincia nel 1884 con le acciaierie di Terni. Queste radici antiche e feconde si sono viste quando la cittadinanza intera si è fermata per difendere quei posti di lavoro.

E poi c’è da tenere a mente quella pessima esperienza del 2004 ricordata recentemente dal presidente di Federacciaio Antonio Gozzi amministratore delegato di Duferco, la multinazionale spagnola. Gozzi ha ricordato come nel 2004 francesi e tedeschi si misero d’accordo per portare via da Terni le centomila tonnellate di acciaio magnetico che si producevano per dividerselo in impianti meno tecnologicamente avanzati di quelli italiani. Così è potuto accadere che l’Italia che era esportatrice di acciaio magnetico ed era una grandissima utilizzatrice per la propria industria meccanica e del bianco (elettrodomestici) per qualche anno è diventata importatrice. E non è un caso che Arvedi, forse il miglior imprenditore siderurgico privato italiano, ha deciso recentemente a produrre l’acciaio magnetico. Ma allora gli stabilimenti di Terni vennero “derubati” di quelle produzioni. Non deve accadere un’altra volta.

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E poi c’è una considerazione più di fondo che voglio fare: la lotta dei lavoratori delle acciaierie ci dice ancora una volta quanto fondamentale sia il lavoro per la democrazia e per i diritti. Quelle manganellate sono una ferita che resterà a lungo e che Terni conosce bene nella sua storia del ‘900, quando un operaio, Luigi Trastulli, venne ammazzato durante un corteo degli operai delle acciaierie che erano scesi in lotta per la pace. Ci ricorda anche le drammatiche giornate del 1952/53 quando vennero licenziati 2700 operai e ci volle tutta l’intelligenza del lavoro per non fare degradare la città di Terni.

Un altro ricordo ancora. Nel 1989 a Terni facemmo una durissima battaglia per difendere l’impiantistica delle acciaierie quando il governo italiano con l’Ilva aveva messo insieme acciai comuni e acciai speciali. Quella lotta conquistò un investimento, fu l’ultimo della Finsider, di oltre 300 miliardi di vecchie lire che consentirono alla Terni di rinnovarsi completamente in modo che nel 1994 quando ci fu la privatizzazione divenne un sito appetibile per molti, dai francesi ai tedeschi. Quindi Terni e l’Umbria devono tanto alla forza e all’intelligenza delle lotte delle acciaierie di Terni.

 

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