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Lunedì, 14 aprile 2014

Karzai addio. E poi?

Afghan women wait to cast their ballots at a polling station in Mazar-i-sharif

Il 5 aprile ha preso il via l’attesa tornata elettorale in Afghanistan, che, come in una scadenza fatidica, mette in successione quest’anno il voto per l’elezione del nuovo Presidente, quello per il rinnovo dei Consigli provinciali e infine quello per l’elezione della Wolesi Jirga (il Parlamento afgano). Tutto questo mentre si avvia a conclusione la missione militare Isaf (International Seecurity Assistance Force) e i segnali di un perdurante quadro di contraddizioni di ogni tipo, problemi irrisolti, conflittualità irriducibili, corruzione e altro trovano continuamente conferma.

Proprio per la contingenza del ritiro delle truppe statunitensi e di quanto resta ancora sul campo dei contingenti degli altri Paesi, le elezioni offrono ampio materiale di verifica del punto di arrivo e delle tutt’altro che sicure prospettive che si aprono per il Paese. Si tratta di elezioni particolarmente importanti. La Presidenza, la Wolesi Jirga e i Consigli provinciali sono le maggiori istituzioni politiche elettive esistenti nel Paese. Hanno avuto origine dal tentativo dei Paesi europei, che seguirono o assecondarono Bush nella sua avventura bellica contro il regime talebano, di dare una veste democratica – all’occidentale – alla ricostruzione del Paese. Nel primo summit sulla questione afgana, svoltosi a Bonn alla fine del 2001, venne pensato – e poi proposto alla delegazione afgana – un architettura istituzionale articolata appunto sui tre organismi istituzionali per i quali sono oggi in corso le votazioni. Nel giugno dell’anno seguente, la proposta venne legittimata dalla grande Assemblea tribale del Paese (Loya Jirga), formata da notabili, signori della guerra, capi delle varie etnie che compongono l’Afghanistan. Da allora, tra alterne vicende e sempre sotto stretta protezione delle truppe occidentali, gli afgani – uomini e donne secondo la nuova Costituzione – si sono recati alle urne a varie riprese. Le prime elezioni presidenziali si svolsero il 9 ottobre 2004, in un clima relativamente tranquillo, che si sarebbe però ben presto deteriorato. Stando ai risultati ufficiali, in quella circostanza si recò ai seggi il 76,9% degli aventi diritto, pari a 8.128.940 di elettori. Un numero rilevante. Tenendo soprattutto conto del contesto. Hamid Karzai, un pashtun Durrani appartenente al clan Popalzai, allora capo provvisorio dello Stato, vinse al primo turno, con il 55,4% delle preferenze. Le elezioni presidenziali successive si tennero il 20 agosto 2009, in un contesto molto diverso, contrassegnato da gravissime intimidazioni e scontri armati di grande impatto, attacchi terroristici in varie parti del territorio afgano, al punto che, a dispetto del significativo incremento delle truppe alleate schierate sul terreno, non fu possibile assicurare ovunque la regolarità delle operazioni di voto. Molti seggi rimasero chiusi. Partecipò soltanto il 31,4% degli aventi diritto e si registrarono brogli, episodi di voto collettivo e contestazioni di vario genere. Tutto ciò provocò sensibili ritardi nella pubblicazione dei risultati ufficiali. Fu per questa situazione che Abdullah Abdullah, che aveva riportato il 30,59% dei voti contro il 49,67% riscosso da Karzai, rinunciò e il ballottaggio programmato per il 7 novembre 2009 venne cancellato.

Afghan President Hamid Karzai casts his vote in Kabul

Il voto presidenziale del 5 aprile ha confermato quello che era già evidente da tempo: nessuno dei contendenti ha raggiunto il 50% e sarà necessario il ballottaggio per conoscere il successore del presidente uscente Hamid Karzai, che in questi anni ha implementato una potente rete di potere personale ma, avendo alle spalle già due mandati, non ha potuto partecipare alla competizione elettorale. Le scelte che Karzai farà nella prossima fase, per mantenere un ruolo centrale nella politica afgana, costituiranno probabilmente un aspetto non irrilevante del futuro del Paese. Soprattutto perché il candidato alla presidenza su cui Karzai puntava, a lui legatissimo per molti intrecci e interessi, non appare in grado di competere al ballottaggio. Infatti, a una settimana dal voto – il 13 aprile – la Commissione elettorale afgana ha reso noto i primi risultati ufficiali, anche se parziali, delle presidenziali (il 10 %). In testa ai risultati è Abdullah Abdullah, tagiko per parte materna, ex ministro degli Esteri, arrivato già al ballottaggio del 2009, a cui rinunciò denunciando l’alto numeri di brogli. Il successo di Abdullah, sia pure tutto da confermare, rappresenta già una sconfitta per Karzai, perché Abdullah è un suo formidabile avversario e perché al secondo posto si è classificato Ashraf Ghani, pashtun, un intellettuale che ha insegnato negli Stati Uniti, ha lavorato per la Banca mondiale ed è considerato al di fuori delle logiche tribali. Zalmai Rassoul, il candidato su cui puntava Karzai, è molto indietro, sotto il 10% dei consensi. Lo spoglio sarà ancora lungo ma, se i dati di questi giorni saranno confermati, il ballottaggio avverrà tra Abdullah e Ghani. I rapporti tra Karzai, creatura costruita da Washington, e gli Stati Uniti si sono col tempo deteriorati, per contrasti sul modo di tenere sotto controllo le dinamiche e i rapporti interni al Paese.

Sul risultato delle elezioni pesano, come spesso è avvenuto in altre analoghe scadenze afgane, le denunce di brogli e irregolarità arrivate da vari candidati, tutti uomini forti che sono stati protagonisti delle varie vicende politiche, membri influenti degli organismi di potere, e alcuni responsabili dei conflitti cruenti che si sono succeduti nel Paese.

Abdullah Abdullah è un personaggio di spicco. Ha combattuto nel jihad anti-sovietico e poi contro il regime talebano, in stretta collaborazione con Ahmad Shah Massoud – grande oppositore dell’invasione sovietica e poi del regime talebano, di cui è stato portavoce. A guidare il paese, nel nuovo quadro che si va delineando, saranno quasi sicuramente i veterani della guerra civile, combattenti mujaheddin che hanno dismesso armi e turbante e cercano oggi di trovare il modo di circoscrivere se non di eliminare le violenze intestine che hanno contrassegnato le file dell’opposizione. Un nuovo modus operandi insomma, più consono al “nuovo” Afghanistan. Ma le difficoltà non sono poche perché le loro candidature sono riconoscibili e riconosciute solo in aree ristrette del Paese e non arrivano nei territori dove è più forte la tradizione e più potente il controllo dei clan tribali. L’80% del territorio 8 in questa condizioni. Tuttavia gli agani “informati”, uomini e donne – quest’ultime spesso straordinarie come ci raccontano molte vicende di quei luoghi, rispondono positivamente all’appello al voto, sia pure nel vuoto di una situazione in cui è fino ad oggi impossibile effettuare una stima reale degli/delle aventi diritto al voto. Sono infatti 35 anni che non si effettua in Afghanistan un censimento L’ultimo risale al 1979, e le cose sono molto cambiate per la grande fuga di profughi causata dagli aspri e crudeli conflitti che si sono susseguiti nel Paese. Ma tutti sanno che la partita più importante per il futuro dell’Afghanistan si gioca proprio nelle aree tribali e nelle valli. Qui i codici di comportamento tradizionali e la presa talebana sono ben radicati e la legge è stabilita dalle armi e dal denaro dei signori della droga locali.

Nel frattempo il Washington Post denuncia che quando l’esercito statunitense si ritirerà dall’Afghanistan alla fine del 2014 si lascerà dietro oltre duemila chilometri quadrati di terreno coperto di munizioni inesplose.

 

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