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Lunedì, 13 gennaio 2014

La Casa un diritto di tutti

Le pagine che seguono sono una bozza frammentaria, aperta a contributi aggiuntivi, su un tema di straordinaria rilevanza, oggi, in Europa ed in Italia: quello delle politiche abitative, tematica che non può prescindere da politiche territoriali capaci di aver cura di quel bene comune che è il paesaggio.

Riteniamo che su questo l’impegno di SEL debba essere a tutto tondo, nel tentativo di arrivare ad una proposta innovativa, capace di mettere finalmente al centro dello spazio politico nazionale la Casa.

SITUAZIONE ITALIANA 

Il nostro tempo, caratterizzato da una multiforme tipologia delle crisi, vive anche una crisi globale dell’alloggio, irrimediabilmente scaricata sulle fasce più deboli e disagiate della popolazione. Nell’attuale fase di fragilità economica, l’emergenza abitativa è divenuta uno dei fattori di maggiore e sempre più crescente tensione sociale, che coinvolge moltitudini di popolazione: dalle categorie cosiddette a rischio sino a larghe fasce di ceto medio, sì da assumere i contorni di un dramma sociale in tutti i luoghi urbani, con particolare crudezza nelle città ad alta densità abitativa. Oggi nelle nostre città si assiste al paradosso di un patrimonio edilizio tanto consistente quanto incapace di soddisfare una forte, sempre più insistente domanda abitativa.
I Governi che in questi anni si sono succeduti, non ultimo anche quello attuale, sembrerebbero ignorare che la garanzia del diritto all’abitare rappresenta uno strumento utile per uscire dalla crisi, poiché una buona edilizia abitativa è necessaria ad assicurare coesione e giustizia sociale. Non a caso il problema della casa suscita oggi un interesse diffuso, dai movimenti antagonisti per il diritto all’abitare alle forze politiche, da Confindustria ai senzatetto.
Benché quello alla casa sia un diritto elementare ed inviolabile di tutti i cittadini (riconosciuto negli articoli 2, 3 e 32 della nostra Costituzione), in Italia le politiche abitative costituiscono, almeno sinora, un ambito minoritario dell’intervento pubblico e il diritto alla casa rappresenta un diritto calpestato se non negato. Né le recenti misure varate dal Governo Letta/Alfano risultano soddisfacenti, tenuto conto che il cosiddetto “Piano casa”, approvato nel mese di giugno 2013, risulta più vantaggioso per i proprietari di alloggi e per il sistema bancario piuttosto che non (come invece dovrebbe essere) per le fasce deboli e svantaggiate. Di fatto esso realizza un progetto di rilancio dell’edilizia e incentiva, col conseguente consumo di suolo, la proprietà privata creando, irrimediabilmente, le condizioni per un definitivo affossamento dell’edilizia residenziale pubblica. Che tradotto vuol dire che l’attuale Governo punta ancora una volta sul mercato e sul mattone: nuovo cemento per accontentare lobbies e consorterie che realizzano profitti e detengono interessi legati all’edilizia, alle infrastrutture e alla valorizzazione del suolo, senza peraltro prevedere nessun provvedimento di blocco degli sfratti o incentivi volti al riuso del patrimonio pubblico e dell’invenduto privato, che invece dovrebbe essere utilizzato per far fronte ad una emergenza abitativa sempre più galoppante. Anche il denaro della Cassa Depositi e Prestiti, piuttosto che destinato a fini sociali, viene orientato verso i soliti noti. Né risultano soddisfacenti i provvedimenti in materia di sfratti contenuti nel decreto Milleproroghe varato dall’Esecutivo: concedere una mini proroga di sei mesi, solamente per gli sfratti per finita locazione, escludendo la morosità incolpevole, significa non avere cognizione di quale sia la reale portata dell’emergenza abitativa, laddove quasi il 90% delle sentenze di sfratto vengono emanate nei confronti famiglie in difficoltà economica, che non riescono più a pagare gli affitti, soprattutto nel Nord e nel Centro del Paese.
Bisogna considerare che da oltre 15 anni è cessato il finanziamento pubblico per l’Edilizia sovvenzionata (il cui fabbisogno viene calcolato in 500.000 alloggi circa). Nel nostro Paese il 70% degli edifici è stato costruito prima del 1976, data che segna la prima legge sul risparmio energetico; l’età media dei nostri edifici è di 40 anni e ci sono 6 milioni circa di alloggi sfitti, che contrastano con l’attuale emergenza abitativa e spesso coprono l’evasione fiscale. Eppure un’indagine Nomisma già del 2012, ci dice che per la riqualificazione degli oltre 85 milioni di mq di edifici pubblici italiani energivori (uffici e scuole), laddove quelli inutilizzati potrebbero essere riconvertiti ad uso abitativo, sarebbe necessario un investimento di 17 miliardi di euro. Investimento che porterebbe generare minori costi energetici (quasi 750 mln di euro anno), mentre i relativi cantieri favorirebbero la creazione di almeno 400.000 posti lavoro. Di più, dai dati provvisori del recente censimento Istat, emerge che 71.101 famiglie hanno dichiarato di vivere in un alloggio precario. Precarietà che potrebbe essere superata mediante la riconversione di quei giacimenti patrimoniali che sono gli edifici pubblici.
È del tutto evidente quindi che l’Italia oggi necessita di un progetto innovativo sull’abitare pubblico, capace di tradursi in: investimenti, riformulazioni normative e cura per quella grande opera pubblica che è la Casa, anche al fine di evitare o far diminuire quelle fastidiose e perverse procedure degenerative (pignoramenti, sgomberi, sfratti per morosità incolpevole…) che sono in vertiginoso aumento. Basti pensare che oltre 430.000 famiglie sono in difficoltà con il pagamento dei mutui, mentre solo nel 2012 sono state 67.790 le sentenze di sfratto (oltre 250.000 negli ultimi quattro anni), di cui l’87% per morosità. Dunque un progetto collettivo su quel bene comune che è la Casa, capace di coinvolgere diverse soggettività e fare sistema con gli Ordini professionali, le Associazioni ambientalistiche e culturali, in particolare il Consiglio Nazionale deli Ingegneri (Cni), il Consiglio Nazionale degli Architetti (Cna), il Consiglio Nazionale Geologi, il Consiglio Nazionale degli Agronomi, ma anche Legambiente, ANCI, INU (Istituto Nazionale Urbanistica), l’Associazione Nazionale Costruttori, Italia Nostra, unitamente alle associazioni per la casa, le cooperative edilizie, i rappresentanti delle Aterp, i Sindaci e/o gli amministratori locali, i Comitati di Lotta per la casa (Action, Agenzia sociale per la casa, Mat, Comitato di lotta per la casa 12 luglio – Palermo….), che più di altri in questi anni si sono battuti per rivendicare il diritto di tutti all’abitare.

UE E POLITICHE ABITATIVE
Non a caso si registra un’intensa attività dell’UE sui temi dello sviluppo ostenibile e solidale mediante i Fondi comunitari per la coesione 2014-2020, laddove le città sono indicate, insieme al Mezzogiorno ed alle aree interne, come opzioni strategiche. Peraltro nella proposta del nuovo Regolamento del Fondo europeo per lo sviluppo regionale, l’UE ritiene che almeno il 5% delle risorse assegnate a livello nazionale debbano essere destinate alle città, per azioni integrate e sviluppo urbano sostenibile.
Inoltre tra le questioni base per una politica di coesione vi è il raggiungimento degli obiettivi fissati dall’Europa, i famosi 20-20-20, cioè la riduzione del 20% delle emissioni dei gas serra, l’aumento dl 20% dell’efficienza energetica, il raggiungimento di quota 20% sulle fonti complessive di fonti rinnovabili. Che, a volerla dire con Alberto Magnaghi, “il territorio non è un asino”, e cioè non è una bestia da soma da continuare a sovraccaricare, come sinora è stato fatto.
Anche da noi sarebbe ora di sperimentare modelli innovativi diffusi da tempo in Europa, come quello svedese che ad esempio non conosce differenza tra edilizia privata ed edilizia residenziale pubblica.

IL DISAGIO ABITATIVO SECONDO SEL
Nell’ottica di SEL il disagio abitativo andrebbe affrontato facendo ricorso ad una duplice visione: una da attuarsi nel breve periodo, capace di far fronte all’emergenza abitativa; l’altra, di medio periodo, atta ad intervenire in modo strutturale.
Nel BREVE PERIODO si dovrebbe poter procedere a:
a) il BLOCCO DEGLI SFRATTI PER FINITA LOCAZIONE: nello specifico è necessario il blocco degli sfratti per gli alloggi di proprietà degli enti pubblici e privatizzati, azione che è necessario prevedere anche per gli sfratti da morosità incolpevole;
b) RIDEFINIZIONE DEL CANONE CONCORDATO: oggi il canone concordato viene definito sulla base di patti territoriali tra i rappresentanti degli inquilini e quelli dei proprietari. La nostra proposta va nel senso di ridefinire nazionalmente questa misura, introducendo un prezzo base al metro quadro, che può subire un incremento su base territoriale del Comune, e che comunque non può superare un incremento indicato dalla legge.
c) AGEVOLAZIONI PER I PROPRIETARI CHE ADERISCONO AL CANONE CONCORDATO: la cedolare secca si applicherà solo a chi aderisce a tale canone concordato, cedolare che dovrebbe essere dimezzata rispetto all’attuale (10%); inoltre è necessario consentire ai Comuni diminuire o esonerare dal pagamento delle tasse comunali (Tarsu, ecc.); infine si propone il pagamento dell’IMU (o della nuova tassa) all’ 0.40 anziché all’ 0.75;
d) INTERVENIRE SULLA NORMATIVA CHE REGOLA LA VENDITA DEGLI IMMOBILI DEGLI ENTI PREVIDENZIALI PUBBLICI E PRIVATIZZATI: per impedire la speculazione, è necessario garantire canoni di affitto sostenibile ma anche la possibilità di ricorrere al credito per l’acquisto da parte degli inquilini, con la conseguente possibilità d’accesso alla proprietà;
e) PATTO DI STABILITÀ: è necessario sottrarre dal patto di stabilità delle Regioni gli investimenti e i contributi dati ai Comuni o alle società di edilizia residenziale pubblica per quel che concerne le politiche abitative;
f) FONDO ANTISTRATTI: è necessario istituire un fondo antisfratti per morosità incolpevole, in grado di compensare ai proprietari una parte cospicua dei crediti in cambio di un nuovo contratto al canone concordato per la durata di almeno due anni;
g) CONTRIBUTO ALL’AFFITTO: bisogna prevedere un congruo rifinanziamento del fondo contributo affitto (ex art.11 legge 431/98);
h) RISTRUTTURAZIONI: sono tra i 20.000 e 30.000 gli alloggi di ERP non assegnabili perché necessitano di essere recuperati, pertanto è necessario un provvedimento che finanzi il risanamento o il recupero immediato di questo patrimonio di alloggi;
i) IMU: resta completamente irrisolta l’imposizione per i gestori ERP, problema che si ripropone anche nella legge di stabilità. Pertanto è necessario dire chiaramente che gli alloggi Erp non dovranno essere soggetti a IMU (o ad altra nuova tassa), pena l’indebitamento di tutti i soggetti gestori d’Italia e l’impossibilità di investire i possibili utili in politiche abitative.
Nel MEDIO PERIODO invece si dovrebbero affrontare i seguenti punti programmatici:
a) CANALE DI FINANZIAMENTO STRUTTURATO: riteniamo indispensabile la continuità di finanziamento, al fine di avere certezza delle disponibilità finanziarie anche per gli anni a venire;
b) LEGGE URBANISTICA SPECIALE: al fine di trasformare in residenziale gli immobili pubblici in disuso (vecchie scuole, uffici ecc.), è necessario un intervento normativo capace di superare le competenze regionali in materia urbanistica (ciò si può fare in via transitoria ed emergenziale attraverso la conferenza Stato-Regioni). La norma dovrebbe prevedere la possibilità di superare la procedura di variante urbanistica approvando il progetto come fosse un’opera pubblica, il quale dovrebbe essere approvato preferibilmente dal Consiglio comunale anziché dalla Giunta comunale, accertandosi di avere gli standard urbanistici di legge;
c) CESSIONI: tutti gli immobili pubblici di enti e società partecipate in dismissione, prima di essere messe in vendita attraverso gare, dovranno essere offerte ai Comuni e alle Regioni, al prezzo stabilito attraverso i parametri OMI, al fine di poterle trasformare in abitazioni pubbliche (potranno così essere trasformate con la procedura urbanistica semplificata di cui sopra);
d) MODIFICARE IL DM 1444 DEL 1968: la casa pubblica dovrà diventare uno standard aggiuntivo che potrà essere monetizzato o ceduto; obbligatoriamente dovrà essere istituito un fondo comunale per la realizzazione di case pubbliche e i denari provenienti dal nuovo standard dovranno essere spesi in modo vincolante.
e) ACQUISTO: si propone di finanziare l’acquisizione dall’invenduto delle società immobiliari a valori OMI attraverso un fondo per le politiche abitative (FPA). Il FPA avrà anche la facoltà di acquisire crediti bancari derivanti da mutuo ipotecario o fondiario in condizione di sofferenza ad un prezzo pari al 50% della residua quota capitale, acquisendo la titolarità della relativa ipoteca e di concederli in affitto a canone concordato alle società di edilizia residenziale pubblica.
f) ERP: le società di edilizia residenziale pubblica dovranno essere riformate. Oltre a gestire il patrimonio delle case pubbliche dei Comuni, esse dovranno anche poter intervenire quali calmieratori del mercato degli affitti; dovranno essere soggetti pubblici, in grado di essere società di trasformazione urbana, potranno intervenire direttamente attraverso la Cassa depositi e prestiti in progetti immobiliari potendo differenziare gli interventi, dovranno dar vita ad un’agenzia immobiliare pubblica;
g) FSE e FESR: si propone che i 29,7 miliardi di FSE e FESR non spesi della programmazione 2007/2013, che vanno spesi e rendicontati entro il dicembre 2015, si destinino alle misure proposte.

Inoltre si segnala che già nel mese di luglio SEL ha presentato una mozione per chiedere al Governo, in maniera chiara ed inequivocabile, di impegnarsi al fine di risolvere l’annosa questione degli immobili degli enti previdenziali pubblici e privatizzati, affinché si fermino gli sfratti per morosità incolpevole e siano finalmente intraprese iniziative di controllo delle procedure di dismissione del loro patrimonio immobiliare, in modo da tutelare gli inquilini, vigilando sui prezzi di vendita e sull’entità dei canoni d’affitto al momento del rinnovo del contratto.

NUOVE NORME URBANISTICHE
La città contemporanea è caratterizzata da un grave stato d’insostenibilità: oggi, ai fini della riduzione del consumo di suolo, nella politica nazionale per le città appaiono decisivi il riuso e la riorganizzazione degli insediamenti residenziali già esistenti (invenduto, sfitto, abbandonato…).
Attraverso una proposta legislativa d’interesse nazionale, lo Stato dovrebbe essere in grado di fornire un’abitazione adeguata al maggior numero di famiglie possibili, rispondendo così ad uno dei principali bisogni primari: il diritto alla casa. In questo modo si favorisce anche l’accesso alla proprietà, promuovendo così coesione e stabilità sociale. Questo obiettivo strategico dovrebbe essere perseguito soprattutto attraverso la riconversione a fini abitativi d’immobili abbandonati o dismessi.
Da qui la necessità di nuove norme d’indirizzo in materia urbanistica, che assumano pienamente l’obiettivo di limitare il consumo di suolo libero, anche attraverso l’introduzione di un sistema bilanciato d’incentivi e disincentivi fiscali, praticando una sostenibilità sociale nel senso dei consumi energetici: luce naturale, utilizzo di materiali, impianti solari termici e fotovoltaici accuratamente integrati per la produzione di acqua calda ad uso domestico e impianti di microcogenerazione in sostituzione delle caldaie da dismettere (come ad esempio sta facendo in Germania la Volkswagen). Questo anche al fine dell’integrazione di soggetti sensibili: extracomunitari, giovani, anziani, inoccupati, persone portatrici di disabilità, nuclei single, donne single con figli a carico, donne che hanno subito violenza, giovani coppie ma anche famiglie a reddito medio…

FASCE SOCIALI INTERESSATE
Oggi si rende necessaria la realizzazione, interamente finanziata con risorse pubbliche, di alloggi da destinare all’affitto per famiglie a basso reddito o in condizioni di particolare svantaggio sociale (edilizia sovvenzionata: le cosiddette “case popolari”).
Le fasce sociali interessate sono:
a) le famiglie a basso reddito, penalizzate dallo scarto tra bassa dinamica dei redditi e alta dinamica dei prezzi immobiliari;
b) le famiglie a bassa patrimonializzazione, che dispongono di pochi risparmi a causa o della brevità della carriera lavorativa (giovani, giovani con un lavoro precario, giovani coppie…) e/o dall’assenza di una rete di aiuti familiari (immigrati, famiglie indigenti…);
c) le famiglie di dimensioni estreme: da un lato le persone sole e dall’altro le famiglie numerose e con presenza di molti minori a carico;
d) le famiglie che vivono in affitto, a causa dell’assoluta scarsità dell’offerta di case in affitto in generale, in particolare di quelle a canone accessibile.

Realizzare residenze accessibili ed usabili significa evitare l’emarginazione e rafforzare percorsi d’inclusione, per affermare il diritto alla propria diversità o disabilità.

CONSUMO DI SUOLO ZERO
Il punto di partenza è il Disegno di Legge approvato dal Governo il 15 giugno di quest’anno in materia di “Contenimento del consumo di suolo e riuso del suolo edificato”, che dovrebbe essere già modificato (come peraltro richiesto anche da Legambiente) nel senso dell’attenzione verso la rigenerazione urbana, per una nuova tipologia di case popolari di qualità.
Parallelamente bisognerebbe promuovere un’Iniziativa per la bellezza del paesaggio, volta a considerare il suolo un bene comune raro, primario e limitato, finito e non rinnovabile, il cui consumo è irreversibile, tenuto anche conto che non esiste, ad oggi, una norma che regoli specificatamente il consumo del suolo, esistono solo principi e strumenti di pianificazione (PRG, PGT…) ai quali di volta in volta si ricorre. Di pari passo alla riduzione del consumo di suolo ci si dovrebbe muovere nel senso di una drastica riduzione dei consumi energetici degli edifici, energetici ed idrici.

RIUSO, ossia rigenerazione urbana come resilienza
Oggi è necessaria una rigenerazione urbana che sia anche culturale e politica: abbiamo necessità d’una rigenerazione intesa come “re/volution”, ossia come sviluppo positivo dei beni (immobili e naturali) di proprietà e comuni. L’imperativo è recuperare il patrimonio immobiliare esistente (2 miliardi di mq in tutta Italia, per un totale di 4,5 mln di edifici, ovvero l’85% del totale), che necessita una riqualificazione energetica ed antisismica. Il settore della rigenerazione potrebbe rivelarsi ossigeno per un comparto in apnea da anni. Che si tradurrebbe in:
1) rigenerazione del patrimonio edilizio esistente, per migliorare le prestazioni di abitabilità ed energetiche del patrimonio edilizio;
2) rigenerazione delle aree dismesse e abbandonate;
3) rigenerazione dello spazio pubblico.
Dunque immobili capaci di garantire un uso più parsimonioso del suolo facendo ricorso a modelli di ecologia urbana, magari come è successo a Rotterdam dove l’amministrazione locale, anche grazie al ricorso ad incentivi economici, ha promosso un progetto di Tetti Verdi: attrezzare il proprio tetto a verde estensivo (con piante grasse, erbe, muschi…) costa circa 45 Euro a metro quadro, 25 dei quali vengono pagati dal Comune di Rotterdam. Un tetto verde permette di isolare meglio l’edificio e, quindi, di risparmiare sulle bollette del riscaldamento e sulle emissioni. Un tetto verde assorbe polveri ed altri inquinanti migliorando la qualità dell’aria, offre cibo e rifugio alla vita selvatica, riduce la quantità di acqua che viene scaricata nel sistema fognario, migliorandone le prestazioni. Attualmente la città olandese può contare su circa 100.000 metri quadri di tetti verdi, che entro la fine del 2014 diventeranno 160.000 metri quadrati. Il sistema di tetti verdi, oltre ad aumentare l’assorbimento di CO2 è importante anche per l’assorbimento dell’acqua piovana in eccesso, perché è previsto un sistema olistico di stoccaggio e raccolta delle acque piovane attraverso i tetti e altre superfici impermeabili, che vengono poi pulite ed immagazzinate a seconda delle necessità, così da avere una riserva pronta in caso di lunghi periodi senza pioggia.
Oppure, senza varcare i confini del Paese e sulla scia di quanto già sperimentato nella Regione Toscana, bisognerebbe assumere iniziative normative semplicemente finalizzate a posizionare sui tetti della case popolari al posto dell’eternit i pannelli fotovoltaici.
Oggi è necessario concepire immobili la cui realizzazione, in partenariato con le autorità locali, la società civile e gli investitori sociali (cooperative abitative di proprietà collettiva, comunità per l’autocostruzione e l’autorecupero abitativo) sia contrassegnata dall’attenzione verso il multiculturalismo e l’inclusione sociale; unitamente alla costruzione, parzialmente finanziata con risorse pubbliche, di alloggi da destinare alla 
vendita a famiglie con reddito medio-basso (edilizia agevolata), favorendo così l’accesso alla proprietà. Parallelamente è necessario prevedere adeguati meccanismi fiscali (o oneri di urbanizzazione), sì da rendere più conveniente il recupero dell’esistente. A questo proposito è degna di nota la Legge della Regione Lazio n.55/1998 sull’Autorecupero del Patrimonio immobiliare (la prima norma in materia) mediante cooperative di senza casa, che potrebbe servire da esempio di buone pratiche anche per le altre regioni.

AGEVOLAZIONI FISCALI
Parallelamente si dovrebbe prevedere una riforma della fiscalità immobiliare, nazionale e locale, per consentire di elevare la quota di risorse finanziarie destinabili ad usi pubblici (infrastrutture, verde, servizi, edilizia sociale…) attraverso una più incisiva tassazione della rendita di trasformazione. Sembra irrazionale attribuire alla sola IMU il finanziamento del processo di rinascita delle città. In questo senso appare interessante la nuova legge federale della Confederazione Elvetica sulla pianificazione del territorio (LPT), recentemente approvata, e confermata con referendum popolare, che entrerà in vigore nella primavera 2014, dove il plusvalore determinato dalla localizzazione dell’immobile, in sostanza la rendita, non va al interamente privato ma una quota rimane al pubblico e viene reinvestito sulla città pubblica (per la realizzazione di piazze, parchi attrattivi, strade…). In quel caso si consente ad ogni Cantone di tassare con un’imposta dal 30% al 50% il plusvalore immobiliare causato da una formale sanzione di edificabilità; i proventi di tale tassazione vengono destinati ad un fondo comunale. Che significa una redistribuzione sociale della rendita per far riemergere dalle città la capacità di produzione di ricchezza pubblica.
Una legge di questo tipo potrebbe essere proposta anche in Italia, con i necessari correttivi in termini d’identità territoriale, per recuperare la principale risorsa necessaria e poter finanziare la città pubblica. Consumo di suolo zero

Eva Catizone Dino Di Palma

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