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Venerdì, 29 gennaio 2016

Pink Factor, per costruire una nuova soggettività della sinistra degna delle sfide che vogliamo vincere

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“Come possono dire che per noi i figli sono un capriccio? Dopo tutto quello che abbiamo passato per averli… No, non si fa un figlio per capriccio, questo i cattolici dovrebbero saperlo”. Sono le parole di una delle mamme “arcobaleno” incontrate nelle bellissime piazze di sabato scorso, l’emblema del dibattito esploso intorno al Ddl Cirinnà (non a caso il nome e la “maternità” della legge sono state messe in mano ad una donna).

Non si tratta di un tema qualunque, né di un diritto qualunque, ma ad ascoltare i media mainstream si sente solo tanto qualunquismo. Anche per questo, temo che avere davanti la legislatura e il governo più ricchi di donne della storia repubblicana non abbia portato alla politica tutta alcuna differenza sostanziale. E questo non è solo un problema, è proprio un pericolosissimo danno per tutte e tutti coloro che da questa politica si sentono esclusi, non rappresentati o addirittura schifati.

Per esempio, dalle donne poteva venire lo svelamento di un’assurda strumentalizzazione: sì, perché per bloccare la stepchild adoption si usa il corpo delle donne “sfruttate” con quello che viene brutalmente definito “utero in affitto”, mentre nei paesi civili si chiama “gestazione per altri”. In realtà non è in discussione la gestazione per altri – che in Italia rimane pratica vietata – si tratta invece della possibilità di adottare il figlio o la figlia biologica del proprio coniuge nell’interesse esclusivo del minore, ed è intollerabile appunto che venga agitato strumentalmente questo tema per bloccarle. Questa è solo una delle questione di questi giorni, ma è emblematica.

Perché, per esempio, se di donne e madri si vuol parlare non si parla dei dati che riguardano il mobbing, aumentato in Italia del 30 per cento negli ultimi cinque anni? Secondo le ultime stime dell’Osservatorio Nazionale Mobbing, solo negli ultimi due anni sono state licenziate o costrette a dimettersi 800mila donne. Almeno 350mila sono quelle discriminate per via della maternità o per aver avanzato richieste per conciliare il lavoro con la vita familiare. Guardando da questo punto di vista il quadro di insieme, si comprende tutta la strumentalità di un dibattito condotto sul terreno di una politica sempre più uguale a se stessa, trasversale e trasformista. E le donne si usano per far rimanere tutto come è. Tutto cambia per non cambiare niente, direbbe qualcuno.

La genitorialità, il welfare che non c’è, le disuguaglianze non sono solo temi di cui discutere in astratto, ma sono nodi cruciali della politica (di sinistra in particolare) che vuole recuperare ruolo e rappresentanza. Non servono allora burocrazie che “devono far tornare i conti”, ma pensatoi di una visione all’altezza di una società profondamente cambiata. Bisogna lavorare per una politica di segno interamente nuovo, fuori da copioni scontati e noiosi, contro assetti da club per soli uomini, in una relazione viva con i movimenti sociali di cui le donne sono sempre più protagoniste. Per “approfittare della differenza”, come invitava a fare Carla Lonzi, occorre ripensare la politica affinché sappia parlare alla vita delle persone, e ripensare gli obblighi delle istituzioni pubbliche verso i propri cittadini e le proprie cittadine a partire dai bisogni. Materiali, ma anche relazionali, emotivi, intellettuali.

Di questo parleremo domenica 31 gennaio alla Casa Internazionale delle donne, nella giornata che abbiamo intitolato “PINK FACTOR-La differenza che cambia la politica”. Perché di questo pensiamo di aver bisogno, soprattutto dalla nostra parte. E ne abbiamo bisogno proprio ora, mentre ci accingiamo a pensare e costruire una nuova soggettività della sinistra degna delle sfide che vogliamo vincere.

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