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Mercoledì, 6 maggio 2015

Pippo Civati lascia il Pd. Lettera sul suo blog per spiegare le ragioni: Questa non è solo una fine, è anche un inzio

civati

Il mio è un messaggio per gli elettori del Pd e del centrosinistra: mi dispiace, per me, per voi. Mi dispiace deludere alcuni di voi e condividere la delusione di chi deluso è già da molto tempo.

Come molti, non mi sento rappresentato da questa situazione. Lo ripeto da qualche giorno: non ho più fiducia in questo governo, nelle sue scelte, nei modi che ha scelto, negli obiettivi che si è dato.

Non ne ho avuta personalmente fin dall’inizio, quando si scelse di proseguire con le larghe intese: avevamo deciso che durassero solo due anni, che sarebbero scaduti già, mentre abbiamo deciso di andare avanti fino al 2018, cambiando premier – in quel modo sobrio e istituzionale che tutti ricorderete – ma senza cambiare il programma di governo. Senza nemmeno scriverlo, per altro, con i risultati che sappiamo. Votai quella fiducia solo per rimanere nel Pd, lo spiegai allora, solo perché mi ero appena candidato al Congresso e per rispetto degli elettori (che pure nella consultazione che avviammo si divisero esattamente a metà) .

Non ho più fiducia perché dopo la fiducia della scorsa settimana, non si può chiudere così, come se fosse solo una parentesi, come se questo non costituisse un precedente.

Per ragioni di coerenza passo al gruppo misto, nella considerazione che anche il gruppo del Pd lo sia diventato, avendo accolto parlamentari di tutte le provenienze.

Ciò comporta, come conseguenza, che io lasci il Pd, cosa che non avrei mai fatto, ma ormai il Pd è un partito nuovo e diverso, fondato sull’Italicum e sulla figura del suo segretario. Chi non è d’accordo, viene solo vissuto con fastidio.

C’è stato il Jobs Act, lo Sblocca Italia, un inquietante decreto sul fisco smentito solo un po’, la riforma della scuola che ha unito tutti gli insegnanti che votavano il Pd (dall’altra parte).

Non lo faccio per aderire a un progetto politico esistente, ma per avviare un percorso nella società italiana, alla ricerca di quel progetto di cui parlai un anno fa, che ho sempre avuto nel cuore.

Nessuna polemica con chi nel Pd rimane, solo l’auspicio di ritrovarsi un giorno, a fare cose diverse da quelle che si stanno facendo ora.

E certo mi dovrei dimettere da parlamentare, fare come ha fatto Walter Tocci (che fortunatamente è ancora senatore), ma faccio notare che mi dimetto volentieri se lo fanno anche tutti gli altri: se cioè si andasse a votare, anche subito, ciascuno con il suo programma, per darsi una vera legittimazione.

Non c’è calcolo, in questa scelta: ho rinunciato a una Ikea di poltrone, ho detto scherzando, proprio in ragione delle mie posizioni. Non è per il potere. Non è per fare danni.

Da sei mesi dico che la situazione non regge, che a primavera sarebbe arrivata l’inevitabile e forse cercata rottura, almeno per me, la goccia che fa traboccare il vaso. Molti ridevano, molti facevano spallucce. E invece.

Da tempo mi sento una particella di sodio, e penso che le ‘minoranze’ del Pd si siano mosse tardi, condividendo scelte sbagliate e attardandosi in tatticismi del tutto incomprensibili e controproducenti. Sono arrivati tardi e non sono stati decisivi.

A sinistra si dice non c’è niente, e invece tra i ceti popolari tra poco arriverà Grillo (che si è già insediato) e anche Salvini. E non è una battuta.

Si può essere critici senza essere volgari, si può coltivare la coerenza come voleva Gobetti (vero antidoto per lui al potere per il potere), si può banalmente fare quello in cui si crede, che si sente profondamente.

Di fronte al trasformismo di tutto e di tutti, personale e collettivo, sono rimasto fermo e noioso sulle mie posizioni, mentre tutto intorno a me cambiava, vertiginosamente.

Non avrei voluto fare questo disastro nel bel mezzo della campagna elettorale, ma non è colpa mia: è stato Renzi a voler aprire lo scontro proprio nelle settimane precedenti alle elezioni. Posso solo dirvi che i candidati che avrei sostenuto nel Pd, penso vadano sostenuti ancora e a maggior ragione: come Anna Rita Lemma e Elvira Tarsitano in Puglia e Milene Mucci in Toscana e Andrea Ragazzi e Roberto Fasoli in Veneto.

Per la Liguria, come già per il gruppo misto, raggiungerò Luca Pastorino. Che ha anticipato con coraggio la scelta che ora tocca a me.

Rimango in Parlamento a fare le cose che ho sempre promesso di voler fare, prima, durante e dopo, che trovate qui.

Mentre in questi mesi si discuteva nel Pd, ho frequentato la sinistra e la società.

Per prima cosa mi dedicherò al partito degli astensionisti, il partito più grande, che vincerebbe le elezioni direttamente al primo turno per dare la risposta a Saramago e al Saggio sulla lucidità e a quelli che in quel romanzo si chiamano «biancosi».

Perché questa non è solo una fine, è anche un inizio.

Dal blog di Pippo Civati