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Politica, banche e giornali.
Passi indietro e passi in avanti

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Bisogna essere chiari. La politica deve fare dei passi indietro e, intrapresa una direzione ben diversa, deve cominciare a fare dei passi in avanti. Passi indietro nella commistione con la finanza pervasiva e sregolata, quella stessa che in questi anni ha snaturato l’economia reale e annullata quasi del tutto la funzione originaria del sistema bancario.

Perché noi oggi chiamiamo “banca” qualcosa che, in larga parte, non lo è più da tempo, se è vero che il suo scopo primario – raccogliere il risparmio e orientare il credito verso famiglie e imprese – non viene quasi mai praticato. Passi in avanti la politica ne deve invece fare assumendo in proprio il governo di una politica economica e sociale del Paese da cui la stessa finanza l’ha via via espropriata, relegandola al ruolo notarile di chi certifica scelte “tecniche” che, lo stiamo vedendo, ci riportano sempre come nel gioco dell’oca al punto di partenza della crisi. La politica poi, alle banche e alla finanza, deve dare delle regole.

Alcune buone già esistono e vanno applicate, altre vanno fatte in fretta – come separare le banche d’affari e d’investimento dalle banche di risparmio, e per noi questo è uno dei primi punti del nostro programma di governo. Ma essere chiari vuol dire non essere degli ipocriti e chiamare sempre le cose con il loro nome. E dunque, è solo la politica che deve fare dei passi indietro? O non sono da separare una volta per tutte anche altri intrecci, in alcun casi ancor più solidi e duraturi e mai conflittuali?

Se guardo alla situazione dei nostri più importanti organi d’informazione della carta stampata, a cominciare dal principale quotidiano italiano che si professa “indipendente” rispetto ad interessi specifici e “anglosassone” rispetto all’informazione che dispensa, vedo consigli d’amministrazione zeppi di presidenti di fondazioni bancarie, di società finanziarie, di consiglieri delle principali banche del paese, per non dire della partecipazione azionaria.

Se ne parla, da qualche parte? Come cittadino, mi sento garantito da un sistema dell’informazione che, salvo poche eccezioni, orienta il consenso finendo per rispondere alle logiche di un simile intreccio? E come utente che fa i conti con i (pochi) risparmi e con i (tanti) grattacapi del credito, sono proprio sicuro di ricevere da questi giornali le giuste informazioni per farmi un’opinione e poter scegliere al meglio? Alla politica si può e si deve dare delle lezioni di moralità e di credibilità chiedendole dei passi indietro, rispetto alla vicenda delle banche, affinché essa diventi virtuosa. Ma senza le ipocrisie di una certa industria e di una certa finanza che, da un tempo troppo lungo, controlla testate e forgia “senso comune”.
*Candidato alla Camera a Lazio 1

 

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