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Martedì, 26 maggio 2015

Siete studenti, niente indennità! Niente DIS-COLL per dottorandi e assegnisti

presidio

Le risposte fornite il 13 maggio alla Camera dal ministro Poletti all’interrogazione presentata dalla deputata Anna Ascani (PD) a riguardo della platea ricevente l’indennità di disoccupazione DIS- COLL secondo il Decreto Legislativo 22/2015 – riassumibili nell’espressione “i dottorandi sono studenti!” – mostrano un gravissimo deficit di riflessione politica da parte del Governo sul ruolo rivestito da dottorandi e assegnisti nel sistema accademico e della ricerca oltre ad una negligenza gravissima, che taglia minime tutele facendo cassa sulle spalle di giovani precari.

Sinistra Ecologia e Libertà, grazie al Libro Bianco sull’Università redatto nel 2013 insieme ad un vasto consesso di operatori dell’istruzione universitaria, aveva indicato nella definizione del dottorato una priorità indiscutibile per costruire un’agenda completa di ristrutturazione positiva della formazione. La Legge del 21 febbraio 1980 n. 28, recante “delega al Governo per il riordinamento della docenza universitaria e relativa fascia di formazione, e per la sperimentazione organizzativa e didattica” – cui sarebbe seguito il riordino sistematico del DPR n. 382 dell’11 luglio 1980 – faceva sorgere l’attuale strutturazione della docenza universitaria in professori ordinari e associati, ricercatori. All’art. 8 si definiva il dottorato di ricerca come “titolo accademico valutabile soltanto nell’ambito della ricerca scientifica”; inoltre, la legge specifica che “gli iscritti ai corsi di dottorato di ricerca e gli iscritti ai corsi di perfezionamento e di specializzazione non possono, in ogni caso, essere impegnati in attività didattiche e hanno obbligo di frequenza ai corsi”. Quello del dottorando è dunque uno statuto complesso, che unisce alcuni elementi simili alla condizione studentesca ed altri più assimilabili al “giovane ricercatore”. È per questa ragione, infatti, che la Carta Europea dei Ricercatori espressa dalla Raccomandazione della Commissione UE dell’11 marzo 2005 unitamente ad un codice di condotta per l’assunzione dei ricercatori – documenti formalmente recepiti dai Rettori delle Università italiane – esige anzi tutto il “riconoscimento della professione”: “Tutti i ricercatori che hanno abbracciato la carriera di ricercatore devono essere riconosciuti come professionisti ed essere trattati di conseguenza. Si dovrebbe cominciare nella fase iniziale della carriera, ossia subito dopo la laurea, indipendentemente dalla classificazione a livello nazionale”. Senza assumere in modo acritico la risoluzione, il riconoscimento può avvenire con uno statuto giuridico che non consideri il dottorando un mero studente, ma un vero e proprio professionista in formazione. Da qui, infatti, c’è l’esperienza francese dei “contratti di dottorato”. La risoluzione assume in pieno la definizione ampia di ricercatore proposta dal c.d. “Manuale di Frascati” (Proposed Standard Practice for Surveyson Research and Experimental Development, Manuale di Frascati, OCSE, 2002): «Professionisti impegnati nella concezione o nella creazione di nuove conoscenze, prodotti, processi, metodi e sistemi nuovi e nella gestione dei progetti interessati».

L’idea della “comprovata esperienza” con cui garantire, nel corso degli anni, il reclutamento da parte di Università ed Enti di Ricerca, comprende appieno gli anni di frequenza del corso di dottorato e/o perfezionamento. Anni di frequenza che diventano anni di precarietà sostanziale, tuttavia necessari al mantenimento dell’offerta di Università ed Enti di Ricerca, come evidenziato dall’indagine Ricercarsi e dalle indagini su Dottorato e Post-Doc dell’ADI – Associazione Dottorandi e Dottori di Ricerca Italiani.

L’instabilità è una condizione che colpisce, in modo anche più forte, gli assegnisti di ricerca: indicati come possessori di un titolo di dottorato o formazione post-lauream assunti con un contratto a tempo determinato e a tempo pieno presso le Università e gli Enti di ricerca con gli incentivi alla ricerca scientifica sanciti dall’art. 5 della Legge del 27 dicembre 1997 n. 449 recante “misure di stabilizzazione per la finanza pubblica”, col tempo sono diventati alcuni fra le tante figure post-doc. Gli academic ranks anglosassoni lo indicano come research fellow, titolare di dottorato membro di equipe scientifica, ma l’art. 22 della c.d. “riforma Gelmini” li individuava come meri “studiosi in possesso di curriculum scientifico professionale idoneo allo svolgimento di attività di ricerca” per un periodo massimo di 4 anni. Più che la durata dell’assegno, l’assenza di prospettive professionali concreti e di sbocchi nell’ambito accademico ha portato molti assegnisti a partecipare alla mobilitazione dei ricercatori non strutturati partita da Firenze, dal significativo titolo #etuquandoscadi.

Aver ottenuto una proroga di due anni per la scadenza degli assegni di ricerca con la conversione in legge del decreto “milleproroghe” non ha garantito uno strumento chiaramente risolutivo della vicenda, come segnalato dalla stessa deputata PD Manuela Ghizzoni: ancora oggi, lo studio della figura unica post-dottorato si scontra con una caduca realtà, in cui la prospettiva maggiormente stabile, quella del ricercatore a tempo determinato di tipo B – RTDb, che diventerà associato – è la possibilità concreta di una percentuale inferiore al 10% degli attuali titolari di assegni. Fra dottorandi e assegnisti, la stessa INPS ha censito nel 2013 un esercito di più di 52 mila parasubordinati che contribuiscono alla gestione separata. Una schiera numerosa di giovani che si assiepano innanzi a fortezze costantemente chiuse ma che predicano merito e propongono ricattabilità. Già, perché dottorandi e assegnisti sono tali in quanto, come dice il ministro Poletti, intendono “perfezionare il proprio bagaglio di conoscenza ed esperienza”, senza ottenere alcuna prestazione lavorativa! Il rapporto Creating a Supportive Working Environment in European Higher Education, realizzato dalla Education International in occasione della riunione interministeriale a Erevan dei 47 ministri dello Spazio Europeo dell’Istruzione Superiore (Bologna Process – European Higher Education Area), ha evidenziato il netto peggioramento delle condizioni di lavoro negli ambienti di ricerca, a causa di contratti instabili, valutazioni punitive e non sistematiche, aumento del carico didattico a fronte di una riduzione dei tempi di ricerca.

Un peggioramento di cui la linea politica dell’esecutivo è netta collaboratrice.

La risposta del ministro del Lavoro del governo Renzi non costituisce solo una chiusura che fa il pari con le risposte delle sedi regionali INPS in merito alle richieste di chiarimento circa l’erogazione dell’indennità DIS-COLL. Quando l’ADI pubblica la risposta del direttore regionale dell’INPS della Campania, per il quale “gli assegnisti di ricerca e i dottorandi titolari di borsa sono esclusi dalla tutela prevista dal decreto su citato e di conseguenza eventuali domande presentate dagli stessi saranno respinte”, si manifesta la chiusura totale del governo verso una minima misura di garanzia previdenziale capace di garantire da 700 a 900 € per 6 mesi ai giovani titolari di un titolo di dottorato o di un assegno di ricerca e l’incapacità di costruire una proposta che sia all’altezza della situazione. Come evidenziato da FLC-CGIL e ADI, “assegnisti di ricerca, dottorandi con borsa e borsisti versano infatti alla Gestione Separata INPS il 30,72% del loro stipendio come contributi sociali e previdenziali, esattamente come co.co.co e co.co.pro”, ossia i destinatari della DIS-COLL. Il riconoscimento del dottorato come “titolo valutabile ai fini della carriera accademica” conferisce l’accesso ai ruoli di ricerca e docenza così come strutturati dall’attuale legislazione: si smentisce così l’affermazione del ministro Poletti, che restringe il dottorato ad un mero corso di alta formazione utile solo al personale diletto del soggetto in formazione. Quando si ricorda che la “DIS-COLL è finanziata dalla fiscalità generale e non da un apposito contributo” si commette, peraltro, un gravissimo torto verso i giovani dottorandi e precari che versano costantemente in gestione separata INPS una quota non indifferente delle proprie borse. La risposta del ministro anticipa nei fatti l’interpretazione dell’INPS e l’interrogazione presentata in Senato della Repubblica dalla parlamentare di SEL Alessia Petraglia.

Se il governo intende anticipare con questa misura una proposta più ampia di precarizzazione del sistema dell’università e della ricerca, magari sotto il nome di #buonauniversità, il dipartimento Saperi di SEL non ci sta e sarà al fianco del sindacato e dei dottorandi che hanno convocato per giovedì 28 maggio a Roma un presidio al ministero del Lavoro, con il significativo slogan #nonèunhobby. Allo stesso tempo, sosteniamo e rilanciamo la petizione FLC-ADI “Perché noi no?”, che ha raggiunto quasi settemila firme e che sostiene questa decisiva battagli per i diritti le tutele verso un segmento importante di giovani e precari.

Il ministro Giuliano Poletti sulla DIS-COLL

Carta Europea dei Ricercatori

Lancio del presidio FLC-CGIL e ADI

 

*Dipartimento Saperi SEL – Scuola, Università, Ricerca

 

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