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La foto che manca

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In queste ore, a sinistra e non solo, si fa un gran parlare della nuova foto che ha immortalato, martedì, i promotori dei referendum sociali. La foto vede (ri)uniti gli ex alleati della Sinistra Arcobaleno, la sinistra della CGIL e l’Italia dei Valori. Tutti, purtroppo, si stanno concentrando in interpretazioni, ironie, distinguo, ultimatum rispetto a quelle che saranno le alleanze elettorali per le politiche del 2013.

Pochi, invece, si sono concentrati sul messaggio che, al contrario, comunica quella foto e, soprattutto, la proposta che l’ha generata. L’articolo 8 di berlusconiana memoria che ha introdotto la possibilità per imprese e sindacati di stringere accordi aziendali in barba alla contrattazione nazionale e, ancora di più, la manomissione operata dal Governo Monti sull’art. 18 dello Statuto dei lavoratori che renderà ancora più facile i licenziamenti sono due pezzi del medesimo disegno: smantellare le conquiste del movimento operaio italiano.

Era necessario, come si fece nel 2002, mettere in campo tutte le (poche) energie rimaste a sinistra solo per questa battaglia? Forse, ma, c’è una domanda inevasa che ci interroga sull’oggi ma soprattutto sul domani.

Io ero al Circo Massimo nel 2002, ho raccolte le firme per il referendum che voleva estendere l’articolo 18 e mi sono mobilitato contro le scelte antisociali dei Governi Berlusconi e Monti. Ricordo però che, nel lontano 1998 pochi, davvero pochi, si mobilitarono contro quella che diventerà l’inizio della fine dei diritti per un’intera generazione: il pacchetto Treu. Da lì, da quella scelta è nato il precariato, le forme subordinate e para subordinate nelle quali la mia generazione e quelle dopo la mia stanno affogando da un quindicennio. Il peggioramento operato dalla legge 30 è solo, se possibile, un inasprimento di quella che è stata la declinazione italiana della cosiddetta “terza via”, più flessibilità, meno diritti, più potere all’impresa, meno tutele.

Siccome è da un quindicennio che sento ripetere che la sinistra con o senza centro farà di tutto per cancellare le leggi sul precariato e lo dice e lo scrive in ogni campagna elettorale e, siccome mi sono stancato di raccontarla anch’io questa “favoletta”, mi chiedo perché non sia possibile finirla qui e dire che l’unico modo per combattere il precariato, davvero, è attraverso un reddito di cittadinanza per tutti e tutti. Un reddito, soldi veri, tangibili e che permettano non solo di vivere ma anche di non essere sotto il continuo ricatto del contratto a progetto di turno che ti sfrutta e che, comunque, non ti fa vivere.

C’è una proposta di legge di iniziativa popolare, promossa da SEL e da tante altre realtà della sinistra politica e associativa che in queste settimane in giro per l’Italia sta raccogliendo molte adesioni ma, come il buon Grillo insegna, questo strumento attiva ma non arriva. Si ferma alle soglie di Palazzo Madama e di Montecitorio o, al meglio, finisce a prender polvere in qualche cassetto delle Commissioni parlamentari.

Certo, mentre raccoglieremo le firme contro l’art.8 e la manomissione dell’art. 18 chiederemo anche una firma anche per il reddito minimo garantito ma, purtroppo, a sinistra questa cosa non passa proprio e non solo perché è una semplice proposta di legge. Ci abbiamo messo 15 anni (nel 1998 io indossai la mia prima tuta bianca proprio per rivendicare reddito, con la “vecchia” sinistra che mi voleva giubilare) e ci abbiamo messo i 15 anni successivi per fare una timida proposta di legge che non chiamiamo reddito di cittadinanza, cioè di esistenza, perché ancora troppo immersi in quell’etica lavorista che avremmo dovuto seppellire insieme alle macerie del novecento.

Io non avrò una pensione degna, ho fatto per dodici anni il precario e solo per fortuna non rischio di vedere buttato via tutto con il concorso lotteria di Profumo; vedo i miei coetanei e quelli più giovani di me che non riescono a costruirsi un futuro perché gli manca anche il presente per vivere.

Se, a sinistra, c’è qualcuno che è convinto che l’unico reddito di cittadinanza possibile è quello dei padri lo dica chiaramente. Io non ce la faccio più ad essere uno strumento retorico, una suggestione evocata.

Per me è questo lo spartiacque per qualsiasi governo possibile. Non costringeteci a rimettere la tuta bianca.

Roberto Pietrobon

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