Il 24 di febbraio voterò per S.E.L. alla Camera ed al Senato. Questa scelta fa seguito alle mie dimissioni da Segretario regionale della Campania del P.R.C. ed alla decisione di non più rinnovare la tessera di quel partito.
Considero,infatti, la presentazione della lista “Rivoluzione civile”, cui il P.R.C. aderisce, peraltro in modo anonimo e subalterno, all’esterno della coalizione guidata da Bersani, un gravissimo errore politico che sempre più si palesa come un atto di deresponsabilizzazione di fronte ai pericoli di un avvitamento “weimariano” della crisi sociale ed istituzionale del Paese.
La scelta di Monti di candidare Albertini anche al Senato rischia di favorire in Lombardia una vittoria dell’asse P.D.L. – Lega che provocherebbe, anche nel caso di una netta vittoria della coalizione P.D.- S.E.L. alla Camera, l’assenza di una maggioranza al Senato, lo stallo legislativo, l’ingovernabilità del Paese.
Monti, perfettamente consapevole di questa possibilità, intende, agendo in tal modo, dettare le condizioni per evitarla: costringere il P.D. a schiacciare la sua sinistra interna, a rompere con S.E.L. e la C.G.I.L. ( che continua a definire quello di Monti un governo di destra), a separarsi brutalmente dagli interessi dei lavoratori e del progresso democratico e civile, a compatibilizzare i mondi vitali della socialità produttiva e la vita delle persone dentro una rinnovata, e più violenta, stretta funzionalistico-sistemica.
E’ questo il mandato che il liberismo globale in crisi affida alle classi dominanti dei paesi europei, al loro regime inter-governativo d’eccezione, alla tecnocrazia bonapartista che ne interpreta le pattuizioni volte alla demolizione del Welfare, al controllo classista delle politiche fiscali e di Bilancio, all’ulteriore devastazione privatistica della presenza pubblica nei processi di produzione e di riproduzione.
E’ questo il principale terreno di scontro, la sfida decisiva per l’intera Sinistra europea, quella che fu protagonista, anche attraverso dure contrapposizioni interne, della costruzione dello Stato sociale e dell’intervento pubblico dentro l’economia di mercato.
L e forze del lavoro e della democrazia emancipativa sono spinte da un’inedita e pesantissima recessione a riprendere quel cammino in termini profondamente nuovi. Agiamo, infatti, in una situazione modificata sia dal lungo predominio liberista sia dalla sua crisi radicale, ma, soprattutto, dalla maturazione di più ampie possibilità individuali e sociali.
Al di fuori di vecchi schemi economicistici, quel che si impone all’intera Sinistra come bisogno politico e come ricerca culturale è la costruzione di un nuovo blocco sociale di emancipazione guidato dagli interessi collettivi e perciò aperto all’innovazione produttiva, ad una mobilità sociale che garantisca diritti e reddito, ad una riconversione ambientalmente responsabile dei servizi e delle attività produttive.
Allo stesso tempo è necessario sottrarre la categoria di “pubblico” ad ogni torsione statalista, socializzare i processi politico-istituzionali attraverso forme effettive di partecipazione e controllo decisionali al servizio della crescita qualitativa, intesa come cooperazione sociale che potenzia decisivamente ed insieme trascende la valorizzazione del capitale.
Per queste ragioni sarebbe stato necessario, e forse ancora sarebbe in qualche modo possibile, favorire la più vasta convergenza dei partiti e dei movimenti della Sinistra per sconfiggere i disegni ultraliberisti di Monti e la destra berlusconiano-leghista, per conseguire una vittoria elettorale completa sia alla Camera che al Senato.
So bene che anche tale necessaria convergenza elettorale, per essere possibile, ha bisogno di un accordo programmatico di governo sufficiente e credibile. So bene che tra il P.D. e le altre forze della Sinistra vi sono state e vi sono differenze e divergenze che non è giusto sottovalutare, prima del governo Monti e rispetto ad esso. La crisi capitalistica, tuttavia, ha una tale portata che ha già modificato la dialettica interna del P.D. e la composizione del suo gruppo dirigente, i suoi rapporti con la C.G.I.L. e l’orientamento di quest’ultima.
Permangono,beninteso, contraddizioni e ambiguità che, del resto, riflettono quelle del vasto e complesso retroterra sociale del P.D. nel quale gli interessi dei salariati e le aspirazioni legittime delle imprese non hanno trovato in questi decenni un compromesso dinamico.
Questo, però, non è un problema del solo P.D. o della C.G.I.L. ma anche delle componenti di “Rifondazione civile” che né dall’opposizione né dal governo, tantomeno da quello locale, hanno prodotto risultati significativi in quella direzione.
Riconosco a S.E.L. il coraggio e la lucidità di riproporre quest’ardua problematica sul terreno della responsabilità democratica e nel pieno di una crisi inquietante, interrogando la propria e l’altrui esperienza.
Anche solo per questo merita il voto di un vecchio militante del movimento operaio quale mi onoro di essere.
Francesco Nappo