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Martedì, 19 maggio 2015

Aspettando l’Onu, via libera dall’Ue solo al commando italiano. Nessuna politica estera e responsabilità condivise

BLOCCO-NAVALE-COPERTINA

Del grande piano del governo italiano di coinvolgimento dell’Unione europea sulla questione dell’ “emergenza” immigrazione, resterà con ogni probabilità soltanto la parte militare, di cui per il momento si metterà a punto solo l’organizzazione della strumentazione navale in acque internazionali, in attesa dell’autorizzazione a procedere verso la Libia da parte del Consiglio di sicurezza delle Nazioni unite.

Il Consiglio Ue dei ministri degli Esteri e della Difesa dei Ventotto Paesi membri, nella riunione del 18 maggio, ha infatti dato il via libera a questa parte dell’impresa, a cui sono disposti a concorrere molti Paesi, mentre, in contemporanea, diversi governi, tra quelli che avrebbero dovuto farsi carico della ripartizione dei richiedenti asilo, Spagna e Francia tra i primi, hanno dichiarato la loro volontà di sottrarsi all’impegno. Il che è l’ennesima conferma di quello che in realtà è l’Unione europea: un accordo di mercato, dominato esclusivamente dai poteri della grande finanza, gli unici in grado di indirizzare veramente le scelte di Bruxelles e di imporre i conseguenti adempimenti ai governi nazionali.

L’assenza di una comune visione di politica estera e di responsabilità condivise su questo piano trova infatti conferma in ogni occasione, e resta uno dei tratti più eloquenti dell’ intrinseco deficit di forza costituens dell’Unione europea.

Il carattere militare del piano trova conferma, nel memorandum che Federica Mogherini, nel suo ruolo di Alta Rappresentante Pesc, ha presentato al Consiglio di Sicurezza della Nazioni unite e che fa rifermento all’articolo 42 del Capitolo VII della Carta dell’Onu, quello che prevede che l’Onu autorizzi, sotto la sua egida, il ricorso alla forza militare. L’egida delle Nazioni unite è diventato in realtà nel tempo un concetto sempre più stiracchiato e variamente interpretabile

Il carattere militare del piano è anche dato dal coinvolgimento della Nato, che per altro è già di stanza nel Mediterraneo orientale con la missione contro il fenomeno della pirateria. Il nuovo Segretario generale della Nato, il norvegese Jens Stoltenberg, ha partecipato all’incontro europeo dei Ministri degli Esteri e della Difesa del 18 maggio e nelle ultime settimane ha avuto modo di esprimere alla stampa la disponibilità della sua Organizzazione a prestare l’aiuto necessario nelle operazioni contro gli scafisti.

Da tempo la Nato è alla ricerca di un focus strategico di tipo generale, di quello che. dalla fine della geopolitica di Yalta e del ruolo che la Nato aveva allora, è stato più volte nominato, e in diversi Summit dell’Organizzazione ricercato, come il nuovo concetto strategico dell’Alleanza atlantica. Concetto sempre più di tipo multidirezionale e globale. Oggi la Nato svolge un ruolo fondamentale nei Paesi Baltici, che Putin mal digerisce in quanto giudica quella presenza come proiettiva di mire ostili da parte degli Stati Uniti e dell’Europa. E Stoltenberg dal canto suo non nasconde le sue preoccupazioni per il complesso caso dell’Ucraina, intorno a cui, sottolinea, la Russia cerca di ridefinire la sua zona di influenza. Ma la responsabilità di un rinnovato clima da guerra fredda trae spunto con tutta evidenza non solo dalle mire di Putin ma anche dell’esorbitante espansione verso Oriente della stessa Nato, che l’Occidente ha implementato. La Nato lavora per concorrere alla stabilizzazione dei Paesi in crisi ovunque ce ne sia bisogno, questo è uno dei punti che il nuovo Segretario ha sottolineato, e il limes meridionale dell’Europa rientra nelle sue preoccupazioni. E’ un ruolo strategico di primaria importanza innanzitutto per gli Stati uniti, che viene dato semplicemente per acquisito e mai seriamente discusso in Europa per le implicazioni che ha, proprio sul piano della politica estera dell’Ue.

Nel frattempo, fino a quando non ci sarà l’autorizzazione del Consiglio di Sicurezza, probabilmente non prima della metà del giugno prossimo, l’operatività della missione navale – che dovrebbe chiamarsi Eunavfor Med e che fa riferimento al “concetto di gestione di crisi” – sarà limitata all’invio in acque internazionali delle navi militari. Nel frattempo l’Italia ha richiesto e ha ottenuto il comando dell’impresa, mettendo a disposizione il quartiere generale operativo di Roma e proponendo per il comando delle operazioni all’ammiraglio di divisione Enrico Credendino. Un esperto della materia, già al comando della forza europea Atalanta contro la piateria al largo del Corno d’Africa. Che l’Italia, col suo passato di potenza coloniale in Libia, assuma il comando dell’impresa mette in luce quanto poco di elaborazione di quel passato il Paese abbia voluto o saputo sviluppare. Pessimo segno.

Come molti esperti di azioni di questo tipo hanno messo in evidenza, le ambiguità, i rischi, gli effetti a catena dell’impresa sono già tutti squadernabili di fronte a noi, a cominciare dalle conseguenze che potrebbero derivare dalla proiezione sulla terraferma di eventuali azioni di forza, con il coinvolgimento di persone che non c’entrano nulla con gli scafisti. I due governi libici, frutto del caos che domina il Paese, hanno già comunque avuto modo di far sapere la loro contrarietà alle operazioni su acque libiche e sulla terraferma.

La ministra della Difesa Roberta Pinotti, che passa con facilità dai facili entusiasmi – cinquemila militari, qualche settimana fa, già pronti fa a partire per la Libia – alla ministeriale e un po’ sfuggente sobrietà dei concetti, parla di una non meglio specificata missione di polizia. Probabilmente pewoccupazioni di vario tipo, al di là delle decisioni concordate il 18 maggio, sono presenti sulla stessa missione navale in varie cancellerie europee e lo stesso ministro degli Esteri della Germania Steinmeier nei giorni scorsi aveva manifestato le sue perplessità, rimarcando come l’attuale situazione in Libia renda particolarmente complicata, nei confronti degli scafisti, un’azione di tipo militare.

Vedremo insomma come evolverà la situazione, senza dimenticare che, come segnala Amnesty International, non è possibile chiudere e limitarsi a distruggere le imbarcazioni dei trafficanti senza predisporre rotte alternative e sicure. Altrimenti si condanneranno a morte migliaia e migliaia di rifugiati, lontano dai “casti”occhi degli europei e dai media.

E senza dimenticare che tutto questo succede nella completa estromissione del Parlamento italiano. Il fatto che la materia militare sia sempre più decisamente sottratta alla discussione e alla possibilità di indirizzo e controllo da parte di Camera e Sanato rappresenta un aspetto particolarmente preoccupante di cui nessuno pare preoccuparsi. Il presidente Mattarella ha detto che col consenso dell’Onu e in un quadro di legalità internazionale la missione va bene.

Resta da capire che cosa significhi una simile certezza, in un’epoca come quella che viviamo in cui tutto tende a perdere di significato e di pregnanza. A partire proprio dalla diritto e dalla legalità internazionale.

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