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Giovedì, 2 ottobre 2014

Barozzino: «Io, operaio senatore, chiedo un voto di coscienza»

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«Ci vuole cuore, ci vuole uma­nità per fare le leggi, ci vuole la voglia di capire le dif­fi­coltà che affron­tano quelli a cui stai toc­cando la vita. Quando ho ini­ziato a fare il sin­da­ca­li­sta della Fiom, nell’87, a Melfi, avevo vent’anni. La prima cosa che mi disse un sin­da­ca­li­sta anziano fu: Gio­vanni, per capire cosa ti sta dicendo un ope­raio, devi capire cosa fa, in che con­di­zioni lavora. Non basta una tele­fo­nata. E allora dico a Renzi: prima di togliere i diritti, vada nei luo­ghi di lavoro. Ber­lin­guer, a cui lui dice di ispi­rarsi, lo faceva».

Nell’aula del senato, con il suo bell’accento poten­tino, Gio­vanni Baroz­zino ha fatto un appello ai col­le­ghi per «una vera resi­stenza poli­tica per la demo­cra­zia». Parole grosse, ma quando quest’operaio del reparto mon­tag­gio della Fiat di Melfi parla di art.18, parla della sto­ria della sua vita. Licen­ziato, insieme ai suoi com­pa­gni Lamorte e Pigna­telli, con l’accusa di aver intral­ciato il pas­sag­gio di un car­rello durante uno scio­pero, e di con­se­guenza di aver inter­rotto il lavoro di tutta la linea di mon­tag­gio, poi fu rein­te­grato dal giu­dice. Non era vero niente, era una scusa che la Fiat di Mar­chionne si era inven­tata per cac­ciare tre ope­rai della Fiom. Oggi è in aspet­ta­tiva, e siede al senato negli scranni di Sel. E fa un appello acco­rato «a tutti i sena­tori. Non votate que­sto scem­pio. Non basta fare inter­venti in aula. Tutto qui ci viene pro­pi­nato come un pas­sag­gio obbligatorio».

Sena­tore Baroz­zino, però in que­ste ore ne state discu­tendo in aula.
Stiamo discu­tendo di una legge che di fatto non cono­sciamo. Tre mesi fa per Renzi l’art.18 era un falso pro­blema. Oggi già par­lano di fidu­cia. Il governo ha deciso tutto.

Renzi man­terrà il rein­te­gro per i licen­zia­menti discri­mi­na­tori e quelli disciplinari.
Sono solo mezze misure. L’art.18 è stato tagliato già due anni fa. E sapete cos’era? Una legge in forza della quale, se viene accer­tato che il lavo­ra­tore subi­sce un abuso, può difen­dersi e essere rein­te­grato sul posto del lavoro. Essere rein­te­grato signi­fica resti­tuire la dignità a un lavo­ra­tore che è stato ingiu­sta­mente accusato.

Nel Pd si giura che il nuovo art.18 con­sen­ti­rebbe a uno come lei di essere reintegrato.
Quando un datore di lavoro può licen­ziarti per mille altri motivi, per­ché dovrebbe met­tersi nelle con­di­zioni di essere accu­sato di discri­mi­na­zione? Io mi sforzo di capire quali siano le tutele cre­scenti di cui si parla, se poi can­cel­lano le tutele. Ma si met­tano nei panni di un lavo­ra­tore: per tre anni sta a con­tratto a tempo, e prega sem­pre che glielo rin­no­vino. Poi supera tutti que­sti osta­coli e prende un con­tratto a tempo inde­ter­mi­nato. Ma in qual­siasi momento può essere man­dato a casa con scuse bana­lis­sime. Si fac­ciano un esame di coscienza: chi dei par­la­men­tari accet­te­rebbe per sé il lavoro a cui stanno con­dan­nando gli altri? E poi per­ché un impren­di­tore vuole licen­ziare senza giu­sta causa? Se sono tutte per­sone per bene per­ché mai dovreb­bero aver paura della legge?

Dice il governo: togliere l’art.18 ai dipen­denti per dare tutele a tutti.
È la guerra fra poveri: un lavo­ra­tore che fa sacri­fici immani per 1300 euro al mese, che accetta di tutto, adesso è anche col­pe­vole per­ché ci sono i precari?

Per Renzi la colpa è dei sindacati.
Le poli­ti­che del lavoro le fanno i governi.

I sin­da­cati però le hanno accettate.
Se i sin­da­cati accet­tano le poli­ti­che del governo sono col­pe­voli, se non le accet­tano sono con­ser­va­tori? No, que­sta non è una riforma di sini­stra. Ma non lo dice l’operaio della Fiom: basta vedere chi pro­po­neva le stesse cose dieci anni o quin­dici anni fa.

L’ex mini­stro ber­lu­sco­niano Mau­ri­zio Sac­coni dice di non essere soddisfatto.
Sac­coni rap­pre­senta un par­tito del 4 per cento. E Renzi che ricorda sem­pre il suo 40,8 per cento si fa con­di­zio­nare da una forza del 4?

Intervista di Daniela Preziosi dal quotidiano Il Manifesto