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Mercoledì, 20 agosto 2014

Iraq, non gettare altra benzina sul fuoco

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Armare i kurdi o non armare i kurdi? Oggi le Commissioni Esteri e Difesa di Camera e Senato verranno convocate per discutere la proposta già avallata dal Consiglio Europeo dei Ministri degli Esteri in un summit convocato d’urgenza a Ferragosto su richiesta di Italia e Francia.

Per affrontare correttamente questa discussione va anzitutto delineato il quadro delle responsabilità pregresse. Il disastro attuale ha origine dalla gestione nefasta della vicenda irachena da parte degli stessi governi occidentali che oggi si propongono di armare i curdi. Due guerre nel Golfo (1991 e 2003) con la promessa di stabilita’ e rispetto dei diritti umani hanno invece aperto il vaso di Pandora delle nuove guerre e del terrorismo fondamentalista. Sono quegli stessi governi che -dopo aver gestito in modo irresponsabile il periodo post bellico in Iraq- vorrebbero ora fermare l’Isis, ignorando il ruolo determinante dell’Arabia Saudita che protegge e foraggia l’armata islamista e che – mentre a parole sostengono i curdi- hanno per anni tollerato la brutale repressione dei curdi.

Detto questo, passiamo all’oggetto specifico del contendere. Forte è la condanna e l’orrore di fronte alla persecuzione di migliaia di civili inermi da parte delle truppe dell’ISIS. Non possiamo restare indifferenti rispetto a questa tragedia. Anzi. Armare i pershmerga kurdi come linea di difesa contro l’avanzata delle forze di Isis, significa però lasciare loro il compito di fare ciò che dovrebbe essere compito di una forza di polizia internazionale sotto l’egida delle Nazioni Unite. Insomma, allontanare ancora una volta, come se la tragedia di Gaza fosse ormai relegata alla storia, l’urgenza di mettere mano ad una profonda riforma del sistema delle Nazioni Unite, per dotare l’ONU di una capacità di intervento anche armato se necessario volto a difendere civili inermi (come nell’eventuale caso irakeno), o operare come forza di interposizione tra parti in conflitto (come nel caso eventuale di Gaza, sulla scorta dell’esperienza di Unifil in Libano ad esempio).

Vi è poi un altro aspetto che riguarda l’applicazione del principio di precauzione, che riguarda le conseguenze – causa anche il riarmo dei peshmerga -di una possibile dissoluzione dell’Iraq. Non è’ in questione il principio di autodeterminazione dei curdi (che i governi occidentali hanno sempre negato). Il rischio invece è che si affacci la possibilità di una separazione del Kurdistan iracheno che niente ha a che fare con l’idea di un’entita’ confederale transnazionale che ricongiunga in questo modo i curdi che vivono in Turchia, Iraq e Siria. Insomma il progetto di autonomia democratica proposto da Ocalan. Oltre a creare ulteriori elementi di grave destabilizzazione nell’area, una tale eventualità sarebbe in contraddizione con il sostegno ad un governo di unità nazionale in Iraq post-Maliki che coinvolga a pieno titolo i sunniti.

E poi, armi e munizioni servono a prosciugare il brodo di coltura nel quale oggi cresce il fondamentalismo armato di ISIS? Si badi bene, un fondamentalismo che è radicato anche nel persistente senso di frustrazione e abbandono nel quale hanno vissuto e vivono le popolazioni sunnite. Isis non è solo una formazione armata, in molte aree rappresenta l’ordine, lo stato, dove fino a ieri lo stato non c’era o era una minaccia costante per le popolazioni sunnite. La scelta di armare i curdi sembra l’ennesima scorciatoia che prelude ad un male peggiore di quel che si pretende di curare.

SI dice: finalmente l’Europa avrebbe parlato ad una sola voce autorizzando i paesi membri a inviare armi e aiuti militari. Si può controbattere, che i paesi membri sono liberi di scegliere come contribuire anche e solo con aiuti umanitari, come deciso da alcuni governi, Ed allora, l’Italia – piuttosto che porsi come capofila tra i paesi che hanno spinto per l’invio di armi ai “guerrieri” peshmerga – potrebbe fare la propria parte in altra maniera. O forse si vuole dare una prova “muscolare” prima del 30 agosto quando il Consiglio Europeo dovrà discutere delle nomine , tra cui quella dell’Alto Commissario in sostituzione della Baronessa Ashton? La decisione di inviare armi (non è chiaro che armi e di che provenienza) alimenterà ulteriormente la produzione di armi da parte di un’industria sempre florida (violando magari la legge 185 sul commercio delle armi) o servirà al limite – se le indiscrezioni pubblicate da qualche giornale risultassero vere – a disfarsi di vecchi stock di armi russe sequestrate anni ed anni or sono ad un mercante senza scrupoli. Con il rischio che tali armi possano poi cadere in mano dell’Isis o di altre formazioni paramilitari locali. Invece bisogna immaginare altre modalità di sostegno non armato per i civili e per la costruzione di corridoi umanitari per la loro protezione. In Iraq non c’è soluzione militare alla guerra in corso. Si dovrà ridare voce alla politica ed alla diplomazia, attraverso il sostegno alla partecipazione dei sunniti nel nuovo governo di Bagdad, una trattativa diretta con l’Arabia Saudita affinché interrompa il proprio sostegno a ISIS. L’Europa e la presidenza di turno italiana piuttosto che decidere di inviare armi, si sforzino di ridare un ruolo alle Nazioni Unite (il cui Consiglio di Sicurezza ha di recente adottato una risoluzione contro l’ISIS) chiedendo la convocazione di una conferenza che metta attorno ad un tavolo i principali attori regionali Turchia, Iran ed Arabia Saudita compresi, e lavorando fin da subito alla creazione di corridoi umanitari per la protezione dei civili. Insomma ridare voce alla politica ed alla diplomazia e non alle armi, proprio come ha esortato ieri l’altro Papa Francesco di fronte al dramma irakeno. Niente guerra o bombardamenti, ha aggiunto, ma altre modalità per fermare l’aggressore ingiusto. Il governo italiano lo ascolti.

Rete Kurdistan Italia:l’Italia mandi subito aiuti umanitari e non armi,e si adoperi politicamante per stabilizzare l’autonomia democratica in tutto il Kurdistan

 

 

 

Commenti

  • Giusoppo

    infatti è una strategia pilatesca l’invio di armi, se si vuole veramente contrastare il califfato è necessario un’intervento militare.

  • http://www.giulianasgrena.it giuliana sgrena

    Sono ovviamente d’accordo sul fatto che non si debba ulteriormente infuocare l’area con l’invio di armi. Ma ritengo molto pericolosa oltre che non corrispondente alla realtà questa affermazione: «Si badi bene, un fondamentalismo che è radicato anche nel persistente
    senso di frustrazione e abbandono nel quale hanno vissuto e vivono le
    popolazioni sunnite. Isis non è solo una formazione armata, in molte
    aree rappresenta l’ordine, lo stato, dove fino a ieri lo stato non c’era
    o era una minaccia costante per le popolazioni sunnite.» L’Isis non è Hamas, è una formazione terroristica superarmata che impone la sua legge con la violenza pura contro tutti e soprattutto contro le donne considerate bottino di guerra. E’ vero che costruiscono una sorta di entità statale (il Califfato) ma solo per accaparrarsi le risorse, riscuotere dagli abitanti la zaqat (nell’islam l’elemosina) nella misura del 10 per cento, certo inferiore alle tasse imposte dallo stato, ma non certo per ridistribuire alla popolazione. Naturalmente occorre combattere l’Isis combattento l’ideologia che lo sostiene ma giustificare i jihadisti tagliagole è estremamente pericoloso. Peraltro i jihadisti arruolati provengono in gran parte da paesi arabi e dall’occidente e non sono del luogo, anche se pagando i loro combattenti molto di più di quanto la Siria o l’Iraq paghi i propri soldati può essere un concorrente insidioso. Un concorrente che peraltro tratta direttamente con i governi della Siria e della Turchia.
    Sostenere posizioni corrette con argomentazioni non veritiere può costituire un boomerang.

    Potrei continuare raccontando la storia dell’Isis, ma la potete trovare anche nel mio libro Rivoluzioni violate che presenterò alla Festa del Mediterraneo di Sel a Palermo.

  • alberto ferrari

    Non ho voglia di tornare su questa discussione l’ho già scritto : “Dum Romae consulitur, Saguntum expugnatur.” . Lo sappiamo tutti che dovremmo prima processare per crimini contro l’umanità la famiglia Bush per aver avviato la destabilizzazione del medio oriente . Poi l’imbelle ONU . Poi l’Europa che … non c’è. Ma nel frattempo? Può bastare un intervento farcito di “distinguo” a salvare il genocidio di popoli colpevoli solo di essere o di un’altra etnia o di un altro credo religioso. Può bastare a riparare i tanti bambini dal furto della loro vita o le donne dallo stupro di massa?
    Io credo di no e, come ha già scritto un nostro compagno, “dovremmo iniziare a pensare che una forza di sinistra, quando si occupa di politica internazionale, non deve limitarsi a dichiarazioni di pacifismo ma a difendere anche i valori che difendiamo nel nostro paese: e se non erro SEL in Italia difende la laicità, la libertà religiosa e i diritti delle minoranze: non sono principi sufficienti per rendere il contrasto dell’ISIS una priorità?”.

  • Filippo Boatti

    La proposta di SEL va bene ma pecca di astrattezza nel momento in cui non prevede una fase intermedia fra l’invio di un contingente Onu e la situazione attuale dove bisogna riconoscere che l’appoggio aereo americano ai kurdi è utile. Astrattezza che rischia di essere letta come una legittimazione dell’ISIS. Leggo sempre con interesse gli scritti di Marcon (oltre a condividerli c’è sempre molto da imparare) ma dovrebbe rendersi conto che c’è anche la parte politica, cioè il chiedersi come le nostre posizioni vengono viste e recepite da estesi settori di opinione pubblica con cui dovremmo cercare un confronto.

  • Eydon

    Signori io ne anch io sono per la guerra pero la gente pacifista e di sinistra contraria ad interventi armati armare i civili come pensa di sconfiggere k isis? Ed i popoli cofinanti? Qualubque ostilita che si ha con l occidente voi dovete porre fine e fermare tutto questo o vi ritrovate l impero mongolo in versione di isis