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Martedì, 6 ottobre 2015

Quei manager Air France in fuga e il conflitto sociale

air france

Assistere allo spettacolo reiteratamente offerto dal circuito mediatico dei due dirigenti dell’Air France in fuga seminudi, davanti a una folla talmente inferocita da averli ridotti in quello stato non può che dare luogo a considerazioni, riflessioni, giudizi molto diversi. Per forza di cose, molto diversi. E’ nelle cose, perché viviamo in un’epoca in cui l’assoluto indifferenziato del modo di vedere le cose, di cercare punti di riferimento, di immaginare e agire la politica e altro, non fa che alimentare, come contraltare, il caos delle relazioni sociali e dei modi di rapportarsi ai problemi, le contrapposizioni e le ribellioni estreme da un parte, i ripiegamenti e le fughe da tutto, dall’altra. E tutto questo nelle forme di generale depoliticizzazione che conosciamo e che investono larghissimi settori della società e dell’opinione pubblica. Mentre l’adeguamento all’ordine del discorso ufficiale dominante – le regole del mercato sopra a tutto, nel caso di Air France evidenti, come in tanti altri casi – moltiplica il caos delle vite e dei sentimenti, l’indurimento dei conflitti, lo scadimento del sentimento democratico e la forza operativa della democrazia.

Per questo occorre andare oltre lo spettacolo dei due uomini in fuga, e anche oltre l’inquietudine e la pena che si deve o si dovrebbe sempre provare – che personalmente provo – di fronte a una persona che diventa oggetto della furia di un qualche avversario o vero e proprio nemico, che lo vuole colpire fin nella dignità, fin nell’anima. Strappare gli indumenti in quel modo ha un po’ questo significato, perché mette in luce un’intenzionalità ostile oltre misura, pericolosa perché assuefante, perché c’è ormai un logoramento dell’umano che la crisi e il dominio mediatico alimentano e nulla sembra contrastare.

Andare oltre significa allora andare oltre il fermo immagine, fare i conti con il contesto generale e con la contingenza di quella fuga di dirigenti di alto grado, inseguiti non da una folla qualsiasi di nemici ma dalla protesta di lavoratori e lavoratrici che manifestano contro il nuovo piano industriale. Un piano dalle conseguenze forse devastanti per quel mondo del lavoro perché prevede il taglio di 2900 posti di lavoro tra il 2916 e il 2017, e appare come non discutibile, poiché fa seguito a un precedente piano, in base al quale Air France aveva chiesto un incremento della produttività da perseguire con un aumento delle ore di lavoro e di servizio all’anno (fino a 100 ore) senza aumento di stipendio. Non ci stiamo a lavorare gratis hanno dichiarato i piloti. Le trattative si sono rotte e il management della compagnia ha risposto col piano dei tagli.

L’air France è dunque al centro di un acutissimo conflitto sociale, dove si gioca la partita di un’altra violenza, fortemente simbolica – il lavoro reso così subalterno da essere a totale disposizione dell’impresa, nella forma della gratuità del lavoro – e pratica, perché il piano industriale di Air France, se passa in una salsa o nell’altra, è destinato a incidere in profondità sulla vita delle persone, accelerando quei processi di proletarizzazione dei ceti medi che in Francia costituisce uno di punti dolenti del disagio e del malcontento popolare. La cifra generale delle relazioni sociali modellate dal neoliberismo si evidenzia in ogni nuova vertenza e problematica del lavoro, non lavoro e altro del nostro tempo.

Siamo nel bel mezzo dell’uni­verso della contemporaneità che ben conosciamo, universo a suo modo spie­tato, che la competizione a tutti i livelli, compresa quella tra individui ormai atomizzati, e senza più la protezione di diritti certi, alimenta e conferma ogni giorno di più. Lo Stato si è riti­rato e ha perso autorevolezza e capa­cità d’intervento, perché così ha voluto una compiacente politica trasversale. E nello stesso tempo è entrata in crisi e si è erosa la funzione dei corpi intermedi, che assicuravano soste­gno alle persone e insieme media­zione dei con­flitti e pratica di sin­tesi e organizzazione delle diver­sità cul­tu­rali, dei diversi punti di vita sul mondo e anche delle aspi­ra­zioni indi­vi­duali. Questo erano l’associazionismo, i par­titi, i sin­da­cati e questo la sinistra ha mandato al macero, accettando come oro colato le nuove regole del mercato globale, dominato dalle banche.

Miseria della contemporaneità la chiama il sociologo francese Pierre Bour­dieu, individuando nella dif­fu­sione della vio­lenza e dell’intolleranza, un aspetto decisivo del nostro tempo. Ma per cogliere la reale portata di questa violenza, dice ancora Bourdieu, bisogna metterla in rapporto con le radici sociali e poli­ti­che per lo più occulte, quelle su cui spesso il dibat­tito pub­blico e poli­tico sorvola e la politica, compresa quella che si fregia ancora dell’indistinto appellativo di sinistra, omette e nasconde.

Il management di Air France messo in fuga e inseguito da lavoratori inferociti questo svela. Basta leggere le cose girandoci intorno.

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