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Giovedì, 18 settembre 2014

Rapporto Fao, il mondo ha ancora tanta fame

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Il nuovo rapporto della FAO “Sofi 2014” presentato in collaborazione con Ifad, Fondo internazionale per lo sviluppo agricolo, e WFP, Programma Alimentare Mondiale, dichiara che il numero delle persone che soffrono la fame sul nostro Pianeta è ancora in diminuzione.

Si stima, infatti, che circa 100 milioni di persone nell’ultimo decennio siano riuscite a superare la loro condizione di denutrizione. Sebbene nel periodo che intercorre tra il 2012 e il 2014 nel mondo ancora 805 milioni di individui soffrano la fame più estrema la stima sembra comunque in lieve miglioramento con il dato registrano nel 2003 di 830 milioni e con quello registrato nel 1970 di 960 milioni ma siamo ancora lontani dal debellare una problematica tanto incalzante come la fame sul nostro Pianeta.

Nel Rapporto si rileva come gli obiettivi prefissati dai 191 Stati membri dell’ONU nel “Millennium Development Goal” (di riduzione della metà della fame entro il 2015) siano ad oggi assolutamente raggiungibili. Dal periodo 1990-92, 63 Paesi in via di Sviluppo hanno raggiunto tale obiettivo nei loro territori e altri 25 Paesi hanno lavorato attivamente al fine di condurre al 15% la percentuale della popolazione nazionale ancora in condizioni di denutrizione, come previsto dal target WFP.

Il Direttore Generale della FAO, José Graziano de Silva, congiuntamente con il Direttore esecutivo del WFP Ertharin Cousin e con il Presidente di Ifad Kanayo Nwanze hanno dichiarato che: “L’insicurezza alimentare e la malnutrizione sono problemi complessi che non possono essere risolti da un settore o dai soggetti interessati, da soli, ma devono essere affrontati in modo coordinato”.

E un coordinamento del problema deve essere necessariamente effettuato poiché è ormai noto come la malnutrizione non sia solo causa scatenante di decimazione della popolazione ma anche di rapida diffusione di malattie contagiose più o meno pericolose con danni ingenti anche sulle capacità lavorative e di crescita delle economie locali e nazionali.

Secondo un articolo pubblicato da Ramadhani Abdullah Noor, dottore tanzanese e ricercatore associato alla Scuola di salute pubblica dell’Università di Harvard, sul Sole24ore, in Africa, la metà delle morti infantili sono dovute ad uno stato dilagante di malnutrizione e le altre, sempre riguardanti i bambini al di sotto dei cinque anni, dovute a malattie scatenate o direttamente attribuibili a fattori ad essa collegati.

Gli esperti della FAO concludono Sofi2014 con l’invito alle istituzioni a soggetti pubblici e privati ad intervenire in sostegno della causa e a favore di un maggior impegno nello sviluppo di progetti nelle aree rurali a protezione dei soggetti sociali più vulnerabili e con programmi specifici rivolti al sostegno della nutrizione infantile.

Sembra, forse, oggi ancora un’utopia per molti l’azzeramento della fame nel mondo? Come si fa? Quanto costerebbe?

Nello scorso aprile il rapporto annuale effettuato dallo “Stockholm International peace research institute” (Sipri) stimava il totale delle spese militari nel mondo pari a 1.747 miliardi di dollari.

Uno studio dell’Earth Council osservava: “c’è qualcosa di incredibile nel fatto che il mondo spenda centinaia di migliaia di miliardi di dollari per incentivare la propria stessa distruzione” ed aggiungo io: c’è qualcosa di incredibile nel fatto che esso non trovi disgustoso il profitto e la crescita che questa distruzione comporta per alcuni. Se solo si dicesse con decisione “stop” alla guerra, “senza se” e “senza ma”, forse non risulterebbe più così utopico edimpossibile combattere piaghe come quella della fame sul nostro Pianeta. Si potrebbe iniziare con l’indirizzare quelle risorse ad oggi impegnate nelle industrie belliche, e a sostegno solo di alcuni progetti nei territori più in difficoltà, sotto forma di veri e propri investimenticapaci di rilanciarele economie delle aree più povere del mondo. Nell’era della globalizzazione e dello sviluppo tecnologico negare il diritto alla vita e alla sopravvivenza in quelle aree ha dato origine al malessere sociale causa non ultima di conflitti e di aggregazione violento-terroristica ad associazioni estremistiche politico-religiose, “veicolatrici” dei sentimenti anti-occidentali.

Bisogna ripartire da quel malessere e dalle cause di quei conflitti per restituire speranza e futuro a interi territori e a intere popolazioni altrimenti perpetuamente condannate nella loro condizione d’incapacità di accesso al mercato globale con il rischio perenne che questa condanna sfoci sempre più spesso in manifestazioni di cruda violenza.

Una politica che voglia davvero combattere la fame e il sottosviluppo dovrebbe essere messa in atto da tutti quei Governi che pur lamentandosi del terrorismo internazionale preferiscono vendere armi ai militari invece di esportare mezzi industriali e agricoli per lo sviluppo economico delle popolazioni coinvolte al fine di ristabilire con esse il dialogo e la pace. La necessità di invertire tale tendenza dovrebbe essere parte della coscienza di tutti ma purtroppo non è così.

 

 

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