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Martedì, 19 gennaio 2016

Sel: il congedo e il processo costituente

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Sinistra Ecologia Libertà, nell’assemblea nazionale di sabato 16 gennaio, confermando di voler essere parte attiva del processo costituente di un nuovo soggetto di sinistra, ha preso congedo da se stessa, indicando modi e tempi previsti per il proprio scioglimento.

Il nuovo soggetto, almeno nelle intenzioni di Sel, fa così un passo in avanti. Forse decisivo. I giovani e le giovani di Sel e di Tilt e il gruppo di Act – anche loro giovani – hanno avuto peso e ruolo importante in questo esito. Ma si vedrà nell’appuntamento nazionale, fissato a Roma per la terza settimana di febbraio, come andranno concretamente le cose, al di là delle migliori intenzioni e dichiarazioni di quanti e quante in Sel scommettano sull’impresa. Perché un impegno di questo genere, più che un impegno, è una vera e propria sfida, visto lo stato di crisi in cui versa tutto ciò che ha a che fare, o dovrebbe avere a che fare, con l’idea del nuovo soggetto. A cominciare, la crisi, dalle stesse parole che dovrebbero dirlo, questo soggetto, e dalla semantica che dovrebbe collocarlo e rappresentarlo in modo riconoscibile sulla scena pubblica e nel rapporto col mondo. La stessa parola sinistra – come ormai si ripete non per caso da punti di vista diversi – è ormai solo un significante senza significato, una scatola vuota, dove si può mettere di tutto. Una delle “parole di caucciù”, come già definiva molte parole Auguste Blanqui (1805-1881), parlando in particolare della democrazia. Ormai un “non concetto”, come Renzi insegna, ma non solo lui. Le parole, dobbiamo saperlo, sono a disposizione di chi se ne impossessa e le usa come vuole.

Ci sarà una carta degli intenti per una prima connotazione del nuovo soggetto ma sappiamo che la storia della sinistra è piena di inutili carte degli intenti. Perché nell’epoca delle parole multidirezionali a disposizione dell’industria dello spettacolo e della demagogia degli storytelling della politica politicienne, le parole sembrano aver perso definitivamente la loro linfa vitale, oltre che il significato più storicamente acquisito di cui sopra, appaiono ormai irrecuperabili a dire qualcosa che vada oltre l’indistinzione dei rumori di fondo e del gossip mediatico.

Riappropriarsi della capacità, del diritto, della libertà di pensare e agire il futuro. Futuro: questa parola che, per esempio e nonostante tutto, bisogna ricominciare a dire, per non lasciarci alle spalle proprio il futuro, come se non ci riguardasse e lavorare per riaddensare di significato e senso una parola indispensabile per pensare di nuovo la politica. Riaprire il futuro significa riaprire il tempo della politica.

L’impresa del nuovo soggetto per avviarsi non può che partire da qui, diventando di nuovo espressione dei sentimenti, dei desideri, dei bisogni di donne e uomini, della loro voglia di riprendere – per sé e da sé – la forza della parola. Forza che c’è – al di là delle intenzioni – quando è parola politica nelle nostre mani e alimenta la voglia di agire in comune per cambiare le cose e smantellare la trappola di questo tempo senza tempo che viviamo e sembra soltanto un eterno ritorno su se stesso.

Fare i conti col presente e fare tesoro dei materiali che il presente ci offre e che, in molte decisive occasioni, hanno costituito e costituiscono la materia prima della politica: questo è l’altro passaggio che va fatto. Non com’era verde la nostra valle ma com’è verde la valle in cui abitiamo, perché bisogna imparare a riconoscere oggi i segni dell’umano che fanno la differenza, che lasciano tracce, che contengono le potenzialità di operare atti di cambiamento. Questo è anche un modo dell’essere felici.

Occorre partire da questi materiali per stabilire quale debba essere il necessario punto di vista critico e, soprattutto oggi, il punto di vista non conforme, sul come vanno le cose. Solo così si possono ricostruire pratiche di partecipazione, coinvolgimento, relazionalità allargata e diffusa. Solo così si può svelare e contrastare l’architettura delle nuove forme di sfruttamento del capitalismo, mettere in discussione i penetranti meccanismi di adattamento all’ordine delle cose che fanno accettare su larga scala lo stato di sottomissione alla ratio neoliberista come normale condizione dell’esistenza umana. Con tutto quello che ne consegue, in particolare quell’ormai consolidata assenza del limite ad andare oltre del capitalismo. Limite che, per tutta una fase della modernità, le sinistre avevano saputo opporre al dispiegarsi della potenza del capitalismo e che sono venute via via meno e poi crollate.

Perché politica ci sia, occorre dichiarare da che punto di vista si parla, occorre sottrarsi all’indistinto trasversalismo del tutto uguale al suo contrario e riscoprire – per quello che è possibile – il conflitto sociale, vertenziale, intellettuale, istituzionale – come agency della politica.

 

Conflitto delle idee, delle proposte, dei riferimenti, delle pratiche. Una politica che sia alternativa alla politica di mestiere, di palazzo, di potere, di sovranità extrademocratica e ademocratica. Del potere economico finanziario.

Per questo è così importante che siano le nuove generazioni a essere protagoniste della politica, loro a inventare le strade per renderla di nuovo una risorsa per cui valga la pena impegnarsi, loro a riappropriarsi del diritto a conoscere il passato dal punto di vista della loro vita. Perché se è necessario sapere che le cose non succedono per caso e che bisogna guardare all’indietro per capire come vada il mondo contemporaneo, è altrettanto necessario avere chiaro che la conoscenza del passato è sì importante per la politica ma non può essere – anzi è dannoso che sia – la performance di fondo della politica o il suo dominante richiamo sentimentale. Ognuno ha la sua storia ma la storia in comune da oggi deve essere un’altra storia. Oggi tutta da inventare, quindi da pensare, sperimentare giorno dopo giorno.

Fare i conti col presente – soprattutto col presente di quello che residua della sinistra – è la prima mossa da fare perché acquisti significato politico l’idea di un nuovo soggetto politico. Di una nuova sinistra? Un tormentone di tavoli, tavolini, dichiarazioni di intenti, scaramucce di qua e di là, per arrivare a stabilire – come va stabilito con chiarezza – che uccidere il progetto è possibile se non si esce subito da quanto di pattizio tra pezzetti di ceto politico e personaggi in cerca di sopravvivenza connoterà l’avvio del costituente da realizzare. Perché più che costituente sarà percepito come costituito e così raccontato dal grande circo mediatico, tra le cui performance più invasive c’è sicuramente l’ostilità a tutto ciò che sfugge all’ordine conforme delle cose. E tentare di nuovo di mettere su un progetto di sinistra offre alimento alla performance deleteria dell’ostilità gossippara che ben conosciamo. Virale e velenosa. Dobbiamo saperlo e fare di tutto per non subirlo.

Insomma la crisi messa in scena nella lunga fase di discussioni intorno al nuovo soggetto, col suo pesante carico di deja vu, può essere letale. Questo ci suggerisce di fare di tutto perché tutto quello che sa di riedizione sia spazzato via, subito.

Quando, in occasione dell’assemblea nazionale di cui sopra, il coordinatore nazionale Nicola Fratoianni ha dichiarato nel suo intervento che nel 2016 non ci sarà il tesseramento a Sel è esploso l’applauso più forte e prolungato di tutta la giornata. Congedo da se stessi accolto con partecipazione sentimentale, oltre che per condivisione di quelli e quelle che ne sono convinti, che al voto finale erano tutti, salvo uno. Altri e altre, in giro per Sel, no, non ne sono convinti, ma questo rientra nelle cose di una storia complicata e controversa come quella di Sel. Si vedrà col tempo. Congedo da se stessa intanto. Forse non dal suo cuore – me lo auguro – non da quell’intreccio di suggestioni innovative, e anche di approfondimenti di pensiero e di pratiche, racchiuse nell’incontro delle tre parole che hanno fatto il nome di Sel, ma certamente sì – è il mio auspicio – dall’ormai frusto perimetro della sua tradizionale collocazione politica, pensata e agita pressoché esclusivamente come interna al campo del centrosinistra e perciò – stando alla storia di Sel – in automatica o inevitabile o di nuovo auspicabile, a prescindere, alleanza col Pd.

 

Centrosinistra o anche “grande campo del centrosinistra”, secondo alcuni, più o meno immaginato – in casa Sel e soprattutto raccontato – come ontologicamente esistente, al di là del come le cose si siano andate assestando nel tempo, sia per esempio nella corsa della segreteria dello stesso Bersani verso il centro, inteso sempre più come allargabile a settori o personaggi del centrodestra (Monti); sia, soprattutto, nella sostanziale accettazione da parte del Pd della ragione neoliberista, che informa da sempre le politiche economiche dell’Unione europea e che da sempre le socialdemocrazie europee, e il Pd con loro, hanno accettato come proprie. L’unico orizzonte del mondo, da un certo momento in poi anche per quel che sopravvive dalla filiera della sinistra novecentesca, non più protagonista del cambiamento. E dunque l’inevitabile complicità e responsabilità che ne sono derivate negli sconquassi sociali, nella crisi della rappresentanza, nel disincanto democratico, nella crescente indistinzione tra destra e sinistra e tutto il resto. E nella perdita di ogni idea di un’Europa diversa.

Il presente è questo, incontestabilmente questo, e con Renzi lo schema del centrosinistra ha perso definitivamente non solo la sua consistenza politica, che era molto labile già da tempo, ma anche la possibilità per chi ci credeva di ricreare almeno qualche distanziamento critico rispetto all’accettazione organica delle ricette dell’austerità e rispetto al disimpegno diffuso di ostacolare la dissoluzione di ciò che resta dei vincoli costituzionale e democratici. La storia della sinistra dem dice questo.

I distanziamenti critici di Sel ci sono stati, a livello nazionale, con l’opposizione alla grande alleanza di salvezza nazionale voluta dal presidente Napolitano e al governo Renzi, e nella scelta congressuale di appoggiare in sede di elezioni europee Alexis Tsipras. Nonché nell’opposizione dei gruppi parlamentari alle riforme/controriforme di vario tipo che il governo ha varato.

La scelta di partecipare al processo di formazione di un nuovo soggetto di sinistra trasforma il distanziamento in un taglio. Strategico? Per me dovrebbe essere così, ma anche su questa parola ci sarà da chiarire molte cose. Da intendere soprattutto, intanto, il taglio, nel senso di volerla farla finita politicamente con l’apparire o anche l’adattarsi a essere appendice a disposizione di Renzi o di chi per lui, quando a Renzi o a chi per lui serva una mano. Marco Furfaro lo ha ben detto nella sua replica a Matteo Orfini, commissario renziano a Roma che, all’improvviso ha scoperto che senza l’apporto di Sel il Pd avrà sicuramente qualche problema per l’elezione del nuovo sindaco.

Insomma l’atto di congedarsi da se stessa di Sel può aprire una fase. Ma, dovremmo ormai saperlo, le cose non vanno in automatico e le scelte che verranno fatte da oggi in poi faranno la differenza.

 

 

Commenti

  • mariosi

    Beh,basta che non facciamo l’ennesima Rifondazione che in questo casa assumerebbe il numero di 3 ,od il solito Partito del Manifesto.
    Mi sembra che c’e’ un po’ troppo sinistra nostalgica sempre in agguato e sempre sottotraccia,piu’ attenta a riti consolatori che a leggere gli eventi nazionali ed internazionali.
    Staremo a vedere,ma i segnali non sembrano proprio cristallini.

  • alberto ferrari

    Condivido. Del resto mi pare che la nostra Elettra abbia iniziato nella IV Internazionale.

  • francesco

    La Sinistra non si valuta in “troppa” o “poca”, come gli ortaggi. O c’è, o non c’è.
    Se la prospettiva di una sinistra coerente (ammesso che nasca, dall’ ennesimo fallimento vendoliano) non è di vostro gradimento, potete saltare fin da subito sul trespolo del PD a fischiettare le melodie per Matteo Renzi. Sulle note di Gennarino e suoi corifei.

  • mariosi

    Ho conferito ,occasionalmente e non per conoscenza diretta,con Niki Vendola,a margine di iniziative,e mi e’ sembrato preparato,equilibrato e serio.Purtroppo,penso,sconti la compagine che ha a fianco di derivazione complicata e sempre ondivaga.
    Ritengo che, per questi motivi, questa compagine l’abbia subita politicamente e in tal senso ha peccato di debolezza.
    In primis l’ostinarsi a tornare in Puglia dopo le elezioni politiche,anche se per SEL non entusiasmanti per quorum,invece che radicarsi a Roma,sia stato uno sbaglio colossale, e si e’ sottoposto ad attacchi coordinati locali che ne hanno compromesso l’immagine nazionale.In tal senso e’ stato di nuovo,immagino,consigliato da “amici” sprovveduti (e purtroppo non se ne e’ liberato per tempo)..
    Purtroppo un Leader troppo generoso a volte e’ vittima dell’entourage,e questo e’ un assioma centrale in politica.
    La stessa follia procedurale di far dividere SEL al congresso nazionale sulla collocazione Internazionale (si era personalmente ampiamente sbilanciato con Martin Schulz) facendo votare dalla Assemblea questa scelta ,senza un vero e trasparente dialogo,ha di fatto allontanato da SEL una corposa fetta di classe dirigente ,che in fondo era preparata epoteva dargli delle sponde e ne ha compromesso la centralita’.
    Mai sarebbe dovuto cadere in questa trappola.(dovrebbe rileggersi, in cio’ ,Togliatti).
    Per questo motivo, temo ,una Rifondazione 3;perche’ quando non ci sono idee di movimento si ricade immancabilmente nella “appartenenza”consolatoria;altro che Podemos!

  • mariosi

    Ho risposto sopra ed apprezzo il Tuo commento.
    Anche se tutti siamo preparati e seri,dobbiamo ricordarci che non possono esserci esponenti per tutte le stagioni.

  • alberto ferrari

    Condivido, con amarezza, la tua analisi. Anch’io ho più volte sottolineato il rischio che da parte di alcuni dalla “narrazione” di Vendola si volesse tornare il più presto alla narrazione bertinottiana, confondendola con il realismo di Tsipras o di Podemos. Al nostro paese serve una sinistra con l’ambizione di proporsi per governare e non una sinistra costruita solo sulla cultura, sulla psicologia ed il linguaggio della protesta. Spero vivamente che per Sel, o ciò che resterà di Sel, non sia troppo tardi.