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Mercoledì, 10 febbraio 2016

Una legge contro le discriminazioni e sui diritti che non riguarda l’etica

unioni-civili

L’intervento in Senato della capogruppo Loredana De Petris.

Signora Presidente, la recente presa di posizione del commissario per i diritti umani di Strasburgo ha, a mio avviso, dato un contributo notevole al nostro dibattito, perché ci ha riportato con esattezza alle finalità del disegno di legge Cirinnà attualmente al nostro esame. Quali sono tali finalità? Eliminare le discriminazioni basate sull’orientamento sessuale delle persone e riconoscere i diritti alle coppie omosessuali, oltre che alle coppie etero.

Vi invito a riflettere su questo passaggio, perché nel dibattito che si è sviluppato in questi giorni, in quest’Aula ma anche al di fuori, si è generata molta confusione. Sono state immesse artatamente in campo argomentazioni che giudico di natura strumentale oppure prettamente etico-valoriale. Invece, la finalità della nostra discussione e del disegno di legge è esattamente quella di eliminare un’ingiustizia e le discriminazioni e introdurre parità di diritti.

Ora, in materia di diritti civili, il punto di riferimento necessario e imprescindibile per noi è la nostra Costituzione, ed è proprio dal dettato costituzionale che deriva con forza l’esigenza di riconoscere e garantire che nuove forme di unione abbiano parità di diritti e non siano oggetto di discriminazioni. Ed è per questo che mentre il legislatore – ricordiamo, infatti, tutto ciò che è avvenuto in questi anni – è stato latitante, e tutti i tentativi fatti di legiferare non hanno avuto esito positivo (vorrei ricordare i Dico, ad esempio) vi è invece stata una forte evoluzione giurisprudenziale che è partita proprio dalle indicazioni, chiare a mio avviso, della Parte prima della nostra Costituzione e dunque saldamente ancorate alla Carta costituzionale. Molti tribunali nazionali ed europei si sono pronunciati dando, di fatto, una legittimazione giuridica a nuovi assetti familiari.

La maggior parte di tale evoluzione giurisprudenziale parte dall’articolo 3 della nostra Costituzione, che molti hanno richiamato ma che io vorrei ricordare perché è forse uno degli articoli più belli della nostra Costituzione: «Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono uguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche e di condizioni personali» – sottolineo personali – «e sociali. È compito della Repubblica» – ed è qui l’altra chiave fortissima – «rimuovere gli ostacoli (…), che, limitando di fatto la libertà e l’uguaglianza dei cittadini, (…)».

È da qui che dovrebbe partire un ragionamento serio di tutti quanti noi per dire con forza che è arrivato il momento che finalmente il legislatore si assuma questo compito. Non lasciamolo fare ai giudici. Ancora un volta, infatti, noi abbiamo fatto in modo che ci fosse una supplenza da parte della evoluzione giurisprudenziale, senza assumerci la responsabilità, intanto, di dare attuazione alle norme proprio a partire dall’articolo 3. È quindi arrivato il momento che il legislatore dia a tutti gli stessi diritti e doveri, indipendentemente dal proprio orientamento sessuale. Non è più tollerabile perseverare nelle discriminazioni da parte dello Stato e continuare a non riconoscere i diritti delle coppie dello stesso sesso, di quelle etero e dei conviventi.

Anche questo è il presupposto da cui muove la sentenza che ho sentito citare da tutti (poi, certo, ognuno la interpreta come vuole), la n. 138 del 2010 della Corte costituzionale. Moltissimi, anche in quest’Aula, hanno voluto interpretarla come un divieto posto dal giudice costituzionale all’introduzione, nel nostro ordinamento, del matrimonio tra persone dello stesso sesso.

Il mio modesto parere (ma non sono sola in questo e voglio citare qui l’autorevole collega Doris Lo Moro, che questa mattina ha svolto con ancora più argomentazioni questo stesso ragionamento) è che la sentenza non giunga affatto ad affermare l’incompatibilità del matrimonio egalitario con la Carta. A mio avviso, essa dice semplicemente che una siffatta introduzione non può derivare da una interpretazione storica del precetto costituzionale e che sia per l’istituto delle unioni che per quello del matrimonio occorre un intervento del legislatore, indicando certamente l’articolo 2 come presupposto per le persone omosessuali a vivere liberamente una condizione di coppia con i connessi diritti e doveri. Essa dice anche che sarà la stessa Corte a garantire, attraverso il controllo di ragionevolezza, la necessità di un trattamento omogeneo tra coppie omosessuali ed eterosessuali.

Ma la sentenza, che è stata citata anche nell’ultimo intervento dal senatore Romano, magari con finalità diverse, dice anche che la definizione dell’istituto matrimoniale non è cristallizzata e che può, appunto, mutare evidentemente nel tempo. La stessa pronuncia della Cassazione del 2012 va sempre in questa direzione, indicando a chiare lettere la necessità di un tempestivo intervento legislativo in materia.

Sempre ritornando a quella sentenza, è evidente a tutti che in essa non si rinviene nessun ostacolo al riconoscimento del matrimonio egalitario. L’articolo 29 si limita a riconoscere i diritti della famiglia come società naturale fondata sul matrimonio, senza indicare quale debba essere a tal fine il genere dei coniugi. Questioni di genere sono affrontate, giustamente, nelle leggi ordinarie che, come tali, sono modificabili liberamente e ampliabili dal legislatore ordinario, senza dover ricorrere a una revisione costituzionale.

Ho messo l’accento sul fatto che dobbiamo assumerci la nostra responsabilità come legislatori. Come dare diritti a chi è discriminato e non ne ha? Ma come, nel dare questi diritti, qualcuno si può sentire in pericolo? Come si può pensare che, nel momento in cui si eliminano discriminazioni e si danno diritti, in base al principio dell’uguaglianza di fronte alla legge contro le discriminazioni, questo possa essere vissuto come un attentato ai diritti degli altri, come un attentato alla famiglia tradizionale? Ma poi su questo concetto tornerò.

Cosa si toglie alle famiglie? In cosa ciò costituisce una limitazione per tutti gli altri? Proprio per il ragionamento che ho fatto, anche sull’articolo 29 e sulla citata sentenza n. 138, abbiamo sempre pensato – e non solo noi, perché oltre ai tantissimi interventi dei senatori di SEL, anche quello della relatrice va in tal senso – che, proprio in virtù del principio di uguaglianza e di parità, la via maestra sarebbe stata quella di riconoscere i diritti ed eliminare le disparità di trattamento, attraverso la strada seguita da altri 14 Paesi europei, cioè attraverso il cosiddetto matrimonio egalitario. Abbiamo presentato emendamenti in tal senso, anche per sottolineare, per render chiaro e smontare alcuni ragionamenti che ho ascoltato in quest’Aula, secondo i quali il testo, soprattutto per quanto riguarda l’articolo 3, tratta di un matrimonio mascherato.

Non è così e lo sappiamo tutti perfettamente. Se siamo onesti intellettualmente sappiamo che non è così, tant’è che c’è stata una discussione, animata da un dibattito molto ampio, chiaro e lungo su se scegliere la strada del matrimonio egalitario o quella dell’istituto delle unioni civili.

Ora siamo arrivati a questo punto, ad un testo frutto di questo dibattito e di mediazioni che esprime una scelta che non è quella del matrimonio egalitario, ma quella dell’istituto delle unioni civili, che è giuridicamente altro dal matrimonio. Tale istituto certamente riconosce diritti, ma sappiamo anche che mantiene in parte una discriminazione nell’accesso all’istituto matrimoniale.

Invito ancora tutti, se finalmente come legislatori ci vogliamo assumere le nostre responsabilità, ad essere onesti intellettualmente: le unioni civili non sono un matrimonio mascherato.

E dico con chiarezza, proprio perché si è deciso attraverso una serie di mediazioni, di percorrere questa strada, che non è possibile accettare di introdurre nel testo ulteriori modifiche peggiorative, che indeboliscano ulteriormente la parte del riconoscimento dei diritti.

Arriviamo poi all’altro elemento che è stato il centro di tutta la nostra discussione, ossia all’articolo 5. Anche in questo caso, cerchiamo dietro le mille polemiche e le travisazioni, di precisare il senso di questa norma. E qui l’aspetto del superamento e dell’eliminazione delle discriminazioni è ancora più forte, perché riguarda bambini e bambine. Fuori da tutte le ipocrisie di questo stiamo parlando: la finalità dell’articolo 5 è esattamente quella di riconoscere diritti e tutele a bambini che spesso già esistono, che vivono una situazione all’interno di famiglie in cui c’è affetto, reciproca collaborazione ed il lavoro faticoso di chi è genitore.

E cosa prevede esattamente questo articolo 5? Prevede la possibilità di estendere anche ai bambini delle coppie omosessuali le norme che dal 1983, con il famoso articolo 44, comma 1, titolo b), esistono per le coppie eterosessuali e che peraltro molti tribunali stanno già applicando a coppie dello stesso sesso. Anche in questo caso, i giudici si stanno sostituendo all’inerzia del legislatore e non sto qui a citare l’elenco di tutti i pronunciamenti in tal senso. (Commenti del senatore Caliendo). Questo avviene perché, quando ci si ripropone il fine della tutela e dell’interesse del minore, principio che come sapete, per fortuna, informa molto spesso i pronunciamenti del tribunale dei minori, si deve guardare alla situazione affettiva ed alla possibilità di proseguire nei loro rapporti. Si tratta quindi di una norma che serve a proteggere giuridicamente i bambini. Biologicamente sono figli di uno solo, ma affettivamente sono legati a tutti e due i membri della coppia. Se dovesse accadere qualcosa al padre o alla madre naturale, debbono avere il diritto di poter continuare a vivere con l’altro; e così anche in caso di separazione. Ma si tratta esclusivamente di questo. Ed è un adozione limitata, un’adozione speciale – ce lo siamo detti 50.000 volte – ben diversa da quella legittimante. Sapete perfettamente che il minore non acquista alcun legame di parentela con i familiari dell’adottante, comprese le questioni della successione ereditaria.

Si è invece creata la discussione sul tema generale dell’adozione, che è un tema molto serio. Noi tutti ci dovremmo impegnare ad affrontare subito, immediatamente, la modifica della legge sull’adozione, perché è un calvario per le coppie, è un percorso ad ostacoli. Ma, anche in questo caso, io non accetto chi ipocritamente dice di rinviare tutto alla rivisitazione della legge sulle adozioni. Penso che sia giusto intervenire su di essa per permettere l’adozione alle coppie omosessuali e ai single, che possono dare affetto, sempre nell’interesse del minore, del bambino. Non sto qui a parlare degli orfanotrofi, ma dico soltanto che questa dovrebbe essere la finalità con cui affrontiamo la questione dell’adozione.

Quindi non parliamo, per quanto riguarda l’articolo 5, di un espediente per dare il via libera alla maternità surrogata, che è e resta vietata. Vedo qui alcuni senatori – c’ero anch’io – che hanno partecipato alla lunghissima discussione sulla legge 40; ricordo benissimo quell’articolo e quel passaggio. Non è un espediente per dare il via libera alla maternità surrogata, che è e resta vietata nella nostra legislazione. Aggiungo anche che non bisogna nascondersi, perché si tratta di una questione molto seria e delicata con risvolti, questi sì, etici molto complessi, che richiama ad un dibattito e a questioni a me molto care, che riguardano il rapporto tra libertà e senso del limite. È un dibattito, che riguarda anche la scienza, che abbiamo svolto molte volte in quest’Aula e che dovremo affrontare nuovamente, magari nell’ambito dell’ormai necessaria revisione della legge n. 40, visto che è stata demolita quasi tutta, per fortuna, dalla Consulta.

L’articolo 5 è così chiaro proprio perché serve ad eliminare una discriminazione e a garantire una parità di trattamento, riconoscendo per legge quello che alcuni tribunali stanno già sancendo. Si tratta per ò di una discriminazione ancora più odiosa, perché si vorrebbe far pagare ai bambini il modo in cui sono nati: figli della colpa. Per questo è per noi intollerabile l’idea che tale norma possa essere stralciata o che possano essere introdotte modifiche che producano ulteriori discriminazioni, come alcune di cui ho sentito qui parlare. Tra l’altro, le argomentazioni finora addotte contro l’adozione del figlio del proprio partner, ad esempio quella secondo cui i bambini hanno diritto ad avere un padre e una madre, condite ultimamente anche da prese di posizione pseudo-scientifiche (senza peraltro il supporto di veri studi), sono, a mio avviso, frutto di pregiudizi. Ci dobbiamo parlare fuori da ogni ipocrisia: ho visto cartelli, anche al Family Day, che ripetevano appunto questi concetti e che parlavano di un attentato messo in atto dal disegno di legge contro la famiglia tradizionale e del relativo pericolo per i bambini. Ora, io penso francamente che il primo diritto dei figli e dei bambini sia quello di essere amati, curati, rispettati, protetti, sostenuti nel cammino della vita. Di questo ci dobbiamo occupare e preoccupare, come legislatori e come istituzioni, in un mondo in cui l’infanzia è oggetto troppo spesso di violenza, di maltrattamenti, di abusi sia fisici che psicologici. Parlavo dei pregiudizi che sottendono a questa affermazione. Si tratta certamente di pregiudizi verso l’omosessualità, ma ce n’è un altro ancora più profondo, che tende a ridurre la maternit à e la paternità alla biologia e al sangue, come se il legame genetico si traducesse automaticamente nella capacità di essere genitori. Non basta mettere al mondo un figlio per diventare automaticamente bravi genitori, ed è lo stesso pregiudizio sociale che ha fatto sì che la strada dell’adozione fosse così impervia. Per questo, torno a ribadire, bisogna intervenire.

Tra l’altro la modifica della legge sull’adozione sarebbe il vero strumento, nei fatti e non a parole e a chiacchiere, per disincentivare il ricorso alla maternità surrogata o all’accanimento terapeutico, costituito delle volte dalla fecondazione assistita. Ci dobbiamo dire le cose per come sono. Quindi è questo il ragionamento che vorrei fare a chi continua a brandire quest’idea della famiglia tradizionale messa in pericolo dal riconoscimento dei sentimenti, degli affetti delle unioni civili, sacralizzata con furore ideologico, in un mondo in cui si assiste ad un’evoluzione della famiglia, in cui tante solitudini spesso hanno bisogno di reciproca assistenza. E questa famiglia tradizionale veniva brandita nei giorni in cui ci arrivavano le notizie dei fatti di Pozzuoli, dell’uomo che dava fuoco alla propria moglie incinta, e di Catania (anche lì una strage). Come si fa a non comprendere che l’unica vera discriminante oggi è tra famiglie in cui c’è amore, rispetto, reciproca assistenza, e quelle in cui invece si esercita violenza e sopraffazione? Di questo ci dovremmo occupare e preoccupare, e non di dare pagelle e di costruire modelli artificiosi.

Per questo oggi abbiamo la possibilità finalmente, dopo tanti anni, di sanare un’ingiustizia, riconoscere un minimo di diritti, eliminare le discriminazioni, aumentare il grado di tutela. Sono norme di civiltà che uno Stato democratico non può più non riconoscere senza alcuna discriminazione, soprattutto verso i minori.

Nessuno può dubitare – sto parlando proprio io – del fatto che siamo fieri oppositori del Governo Renzi: lo abbiamo dimostrato in tutti questi anni. Ma noi su questo tema non abbiamo fatto alcun calcolo politico e nessun tatticismo, perché, per quanto ci riguarda, sul tema dei diritti non si possono fare calcoli o giochetti politici. E invito tutti ad essere coerenti perché stiamo parlando finalmente di dare diritti a chi non ne ha.

 

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