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Da Alcoa ad Ilva: serve una politica di sviluppo strutturale

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La vicenda Alcoa non è solo la tragedia di 800 lavoratori disperati, ma anche la cartina di Tornasole dell’incapacità di questo Governo di porre in atto politiche di sviluppo concrete, cioè di programmare un futuro per questo Paese e per la sua ripresa economica. Le incredibili dichiarazioni del Ministro dello sviluppo economico, secondo il quale “è impossibile trovare nuovi compratori perché l’impianto è di scarsissimo interesse” non solo divengono la pietra tombale di ogni possibile trattativa industriale, ma dimostrano palesemente l’incapacità di guardare lo scenario economico italiano con capacità di visione.

In un Paese che importa l’85% del suo fabbisogno di alluminio, che paga l’energia fino al 40% in più della media U.E., che paga vincoli strutturali pluridecennali che la pongono ogni giorni più fuori dal mercato internazionale, si prosegue ad affrontare le crisi industriali come fossero “incidenti locali”, e non conseguenza diretta della mancanza assoluta di progettualità strutturata e di sistema.

Per anni si è spacciata come verità assoluta il fatto che fosse l’articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori a frenare l’investimento internazionale nel Paese;

Di fronte a multinazionali come l’Alcoa che se ne vanno per gli sproporzionati costi strutturali o i lunghissimi tempi autoirzzativi, o grandi Gruppi come la Glencore che, attraverso la sua controllata italiana Portvesme fa sapere di poter essere sì interessata a rilevare Alcoa, ma che i costi italiani dell’energia sono “incompatibili” con i piani industriali “ a lungo periodo”, e chiedono un costo massimo di 25-30 euro a megawatt-ora per prendere in considerazione l’investimento, credo appaia evidente anche ai più stolidi che il problema italiano non è né la sindacalizzazione né lo Statuto dei lavoratori, ma la totale mancanza di una vera politica economica di sviluppo che trovi idee, progetti, risorse e interventi per invertire il processo di desertificazione industriale.

La Sardegna è sicuramente una regione in ginocchio, che vede scomparire 57 posti di lavoro al giorno ed ha un tasso di disoccupazione giunto al 16%, mentre quello relativo ai giovani galoppa verso il 45%. E’ quindi evidente l’urgenza di lavorare su una soluzione contingente che salvaguardi il lavoro ed i lavoratori di Alcoa; ma lo scenario non è diverso per Ilva, Tyssenkrupp, Fiat, Carbonsulcis, Irisbus o Finmeccanica, e non lo sarà purtroppo per molte altre realtà, a partire dalla Magona di Piombino o dalla Euroallumina.

In Italia si calcola che siano circa 300 mila i lavoratori a rischio nelle crisi industriali, mentre oltre 500 mila sono attualmente in cassa integrazione. Di questi almeno 380 mila sono in cassa integrazione straordinaria e in deroga, ovvero in quella pilatesca forma di ammortizzatore sociale che serve solo a rimandare i problemi senza affrontare concretamente le crisi occupazionali.

Non è possibile rimandare oltre: o si mette mano ad un piano strutturato di politica industriale e di sviluppo, aggredendo il problema principale rappresentato dal costo dell’energia, abnormemente fiscalizzato, e proseguendo con azioni tese a favorire l’occupazione e l’imprenditorialità, oppure il destino dell’intero comparto industriale è segnato.

Per questi motivi Sinistra Ecologia e Libertà il 10 settembre –giorno nel quale si terrà l’Incontro al Ministero dello Sviluppo Economico sulla vicenda – sarà in piazza a Roma assieme ai lavoratori Alcoa e alle forze sindacali che li sostengono.

Massimiliano Smeriglio

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