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Martedì, 17 giugno 2014

Fiducia sul decreto Irpef, il no di Sel. Migliore: «votiamo contro anche perché la fiducia è uno strumento che strangola il dibattito parlamentare»

“Signor Presidente, colleghe e colleghi, signor Viceministro, il Governo chiede a quest’Aula di esprimersi con un voto di fiducia su un provvedimento che, in base anche all’anomalia del nostro Regolamento, poi verrà anche discusso successivamente, prima nella parte riguardante gli ordini del giorno e poi per un voto finale dove si entrerà nel merito più di quanto io stesso farò. Chiedete la fiducia come un atto routinario, come una considerazione ormai stanca di quelle che dovrebbe essere le funzioni di un rapporto con il Parlamento, chiedete la fiducia ad un Parlamento che in questo si deve schierare sulla base delle proprie dichiarazioni pregiudiziali rispetto a qual è la collocazione per il Governo. Guardi, noi, parlo a nome ovviamente del mio gruppo e del mio partito che lo ha ribadito di recente, siamo una forza di opposizione ed è per questo motivo che votiamo contro la fiducia, perché comunque la fiducia al Governo, sebbene attaccata ad un provvedimento piuttosto che a delle scelte più generali, ha a che vedere strettamente con quelli che sono i caratteri generali dell’azione del Governo e delle relazioni tra le forze politiche e il Governo stesso.

Ma votiamo contro anche perché la fiducia è uno strumento che strangola il dibattito parlamentare. Come sa, perché ha seguito con attenzione i nostri lavori, come è sempre suo costume, noi ieri abbiamo votato, per esempio, contro la pregiudiziale proposta dal MoVimento 5 Stelle, perché ritenevamo che non ci fossero i crismi dell’incostituzionalità dietro quella che è stata rappresentata come una sorta di ritorsione: non ci accogliete la discussione parlamentare, vi dichiariamo una sorta di guerra preventiva con la dichiarazione d’incostituzionalità.

Abbiamo inteso cioè rimanere al merito e ci meravigliamo, una volta di più, del fatto che non sia stato compiuto un tentativo serio, approfondito, come su altre materie, visto anche tutto il tempo che c’era stato a disposizione per discuterne sia al Senato che, ahimè poco, alla Camera, ma credo si sarebbe potuto avviare, e per ridurre gli emendamenti ad una serie di interventi che avrebbero potuto oggettivamente migliorare e qualificare la nostra parte di responsabilità nel sottoscrivere un provvedimento di questo genere. Questi emendamenti avrebbero sicuramente allargato la platea degli aventi diritto: 10 milioni di persone, lavoratori dipendenti, ai quali viene abbassato con un bonus il carico fiscale. È una scelta diversa da quella che è stata fatta in precedenza, in cui, invece, questa riduzione avveniva attraverso delle esenzioni o facilitazioni sulla base imponibile patrimoniale, come è stato fatto sull’IMU.

Ma noi abbiamo fin segnalato dall’inizio la necessità di implementare e di allargare questa platea e prendiamo per buone – anche se su queste non faremo sconti e saremo sempre vigili – tutte le affermazioni che vanno nella direzione dell’allargamento di un bonus del genere ad incapienti, partite IVA, pensionati innanzitutto. Pensionati ai quali noi non manchiamo mai di pensare, nel momento in cui questo Governo, che propone spesso una retorica della ricostruzione dell’uguaglianza, non parla più degli esodati e del diritto soggettivo che degli esodati deve essere garantito: quello di vedere soddisfatto il patto sottoscritto al momento della firma di un’intesa tra Governo, azienda e lavoratore, che li vedeva con un futuro certo, e non nell’incertezza drammatica nella quale ormai centinaia di migliaia di persone sono ancora costrette.

Abbiamo bisogno cioè di un Governo che faccia un proprio lavoro e che stabilisca l’azione del proprio intervento più estesamente, più estesamente. Infatti, non ci sfuggono gli elementi positivi di una individuazione di una parte della società che è stata particolarmente in sofferenza in questo periodo, ma non ci sfugge neppure il fatto che la Corte dei conti, per esempio, ha indicato con chiarezza che bisogna ristrutturare l’IRPEF, introducendo degli elementi che possano essere chiaramente redistributivi rispetto a quelle che sono le indicazioni che pure vengono sottose dalle proposte che vengono avanzate dallo stesso Governo.

Una riforma della struttura dell’IRPEF è necessaria rispetto alla capacità che questo Paese ha di ripartire. Infatti, sappiamo benissimo – ed è per questo motivo che su questo aspetto diamo un giudizio positivo – che l’incremento dei redditi bassi genera maggiore domanda. È un intervento anticiclico e su questo si può investire per realizzare anche una forma di ripartenza del nostro Paese.

Così come, però, sappiamo che non basta la politica fiscale, perché c’è bisogno di una politica di investimenti, c’è bisogno di un piano per il lavoro che contempli effettivamente quegli investimenti che devono essere sottratti al Patto di stabilità. Approfitto di questa sede per dire che già nel prossimo Consiglio europeo il punto centrale della sottrazione dal Patto di stabilità di tutti gli investimenti che generano possibile crescita – crescita ecologicamente sostenibile, crescita occupazionalmente densa, crescita innovativamente qualificata sul piano degli investimenti, sulla nuova tecnologia e sulla formazione: misure che sono state largamente disattese nel corso di questi anni – può essere un banco di prova importante, sul quale misureremo anche la coerenza tra le parole, che sono venute nel corso di questi mesi, e i fatti”.