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Giovedì, 1 ottobre 2015

Il documento dell’Assemblea della Basilicata

L’Assemblea reginale di Sel Basilicata, riunitasi in data 28 settembre, ha approvato il seguente documento:

 

Prima dell’estate il nostro partito aveva annunciato in un documento nazionale all’esito di una assemblea preceduta da quelle regionali la necessità entro l’autunno di avviare un percorso inclusivo e aperto ad altre soggettività e movimenti, mettendo a disposizione i nostri luoghi e i nostri spazi. Un percorso che avesse “il sapere al centro di un nuovo progetto di paese, avanzando proposte alternative, ma anche partecipando al tentativo di ribaltare il ricatto che il Governo Renzi ha agito su questo mondo attraverso la partecipazione democratica, avvalendosi in maniera condivisa con il movimento della scuola anche dello strumento referendario., sapendo che non possiamo metterci in solitudine a favore di vento e che tutto ciò sarebbe insufficiente e inefficace. Ci eravamo detti che serve pluralità culturale, connessione con realtà associative e innovative che ogni giorno costruiscono pezzi di un’Italia migliore, capacità di fare insieme innovazione e massa critica. Per questo salutavamo positivamente l’uscita di autorevoli esponenti dal Partito Democratico, un gesto che ha alluso alla sfida più grande, quella di una nuova e più larga costituente popolare e democratica. 
Sel investe tutte le proprie energie, la propria cultura politica in questo nuovo inedito processo”. Ci eravamo anche detti che l’estate non sarebbe trascorsa invano e che entro ottobre avremmo dato vita a un importante appuntamento nazionale.

 

Il percorso dichiarato nella scorsa assemblea nazionale ci è parso in linea con gli esiti del congresso nazionale perché coerentemente impegnati nella persecuzione del medesimo nonostante le scissioni per le “sirene” attrattive del renzismo.

 

Oggi invece constatiamo un rincorrersi di dichiarazioni sulla stampa che mortificano le decisioni collettive e bypassano il dibattito interno. Si può pensare di cambiare una linea, mutare strategia e contraddire quanto deciso come comunità politica, ma non può accadere che questo avvenga in un altrove senza il confronto interno e con i territori.

 

Il discorso pubblico e la narrazione sul futuro di SEL è stato ingabbiato sulle possibili alleanze territoriali, ancor prima di definire le ragioni politiche di un percorso da intraprendere e un profilo autonomo del nostro partito, aperto al confronto e al dibattito.

 

Non immaginiamo che importanti e positive esperienze di governo territoriale – anche in alleanza – siano un patrimonio da disperdere e che possano avere finanche una valenza paradigmatica ma non possono essere né sono un punto di approdo né una surrettizia inversione di metodo che nasconde e confonde il merito delle questioni. Riteniamo che qualsivoglia discussione che anteponga la questione delle alleanze territoriali (così come – per converso – una eventuale posizione che neghi alla radice qualsiasi possibilità coalizionale) sia un approssimativo tentativo di nascondere una battaglia di riposizionamento interno miope e dannosa per la storia di Sel e per gli obiettivi ambizioni che essa si è posta fin con la sua nascita.

 

Di fronte a noi sembrano aprirsi scenari che dalla “periferia dell’impero” abbiamo l’ambizione di tradurre in uno schematismo:

 

O Sel è in grado di definire la autonomia delle proprie ragioni politiche in maniera non subalterna ovvero finisce qualsiasi tentativo sino ad oggi perseguito con tenacia e ostinazione attraversando i deserti;

 

O Sel intraprende senza indugio il percorso che aveva preannunciato in estate senza ulteriori temporeggiamenti e balbettii ovvero finisce per essere assorbita in una logica gioco-forza interna al PD, nonostante la più volte denunciata mutazione genetica dello stesso.

 

In altri termini, riteniamo che l’attuale discussione sul merito delle riforme costituzionali (e le conseguenti esternazioni a cui abbiamo assistito) siano il preludio a una interlocuzione assolutamente subalterna e “renziana”. La minoranza PD annichilita dal Renzi Premier e dal Renzi segretario, evidentemente divisa e incerta sul che fare, non vedeva l’ora di appigliarsi a una qualsiasi apertura pur di ritrovare l’unità di intenti con Renzi, pena la sua fine istituzionale e politica. Questa resa, senza condizioni e senza reali obiettivi conseguiti, è stata offerta propagandisticamente come il rilancio del metodo che aveva contraddistinto l’elezione del Presidente della Repubblica.

 

Ciò che si muove all’interno del PD non dovrebbe lasciarci indifferenti e tuttavia non possiamo sottacerci come le controriforme del Governo Renzi stiano dilaniando ulteriormente il Paese aumentando le divaricazioni sociali.

 

Per queste ragioni la discussione sulle le alleanze come un “a priori” e eventuali aperture al merito delle riforme costituzionali rappresenterebbero plasticamente la nostra resa al renzismo.

 

A questo proposito riteniamo che le esperienze del 2011 vadano valutate nel merito. In ogni caso, ci appaiono un campanello di allarme le aperture convergenti sul rilancio dei cinque anni di Pisapia così come la richiesta a quest’ultimo di ricandidarsi (avanzata da Renzi), poiché rischiano di essere una spia rivelatrice di un potenziale progetto che vede come paradigmatica una conciliazione con il renzismo e con il Governo a cui ci siamo opposti per tre anni.

 

Ci sono due scenari di fronte a noi: far leva su quanto dichiarato da Nichi Vendola sin con il congresso di Firenze sull’essere seme e lievito di qualcosa di più grande o rilanciare un effimero “SEL pride” che invece prelude a una nostra sussunzione nel PD.

 

Se la ricostruzione della sinistra non presuppone una alternativa alla austerità e alla egemonia del neolibeismo coniugato nella sua esasperata finanziarizzazione della economia e si ritiene di avviare una insulsa narrazione sulla possibilità di condizionare dall’interno le scelte e la ricostruzione di un campo anteponendo il tatticismo manovriero al merito, vuol dire – nella sostanza – che abbiamo rinunciato a riaprire partita e partito, anzi surrettiziamente deciso di chiuderlo.

 

Chi pensa che l’unico spazio per la ricostruzione della sinistra sia dentro il PD ha davvero smarrito la strada.

 

Riteniamo che non ci sia altro tempo da perdere: è necessario investire nel processo unitario, aperto e inclusivo, in grado di tematizzare l’attuale disuguaglianza e il conflitto come elementi centrali della nostra battaglia politica.

 

Concordiamo con quanto sostenuto dal nostro coordinatore nazionale tanto nell’ultima assemblea dell’11 luglio scorso quanto sulle pagine del Manifesto. Il rischio e la deriva minoritaria si sconfiggono nel processo e non c’è nulla di più minoritario che non avere una proposta.

 

Non possiamo in alcun modo anteporre gli interessi personali agli interessi collettivi e delle persone che vorremmo rappresentare. Non possiamo cedere al ricatto di Renzi che – ci sia consentita la metafora – dentro e fuori il Pd assume tratti assai simili al ricatto della precarietà. Cedere ad esso sarebbe rinuncia a rappresentare un’altra possibilità e i diritti, le ambizioni, i sogni, gli interessi di milioni di giovani e di intere generazioni.

 

Chiediamo che si parta senza indugi dal merito e nel solco del percorso già tracciato in maniera collettiva e condivisa.