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Mercoledì, 21 maggio 2014

Il M5S e lo spirito del tempo

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Beppe Grillo e i suoi pensano di essere vicini alla vittoria decisiva e ipotizzano una nuova fase dell’impresa di cui sono diventati i protagonisti. Casaleggio afferma che lui e Grillo sono pronti a fare i ministri e Di Battista, il più brillante e versatile della squadra parlamentare pentastellata, illustra a Mentana, nell’ultima puntata di Bersaglio mobile, la road map dell’ascesa del Movimento a Palazzo Chigi. Già subito, il 26 maggio, se risulteranno il primo partito, loro faranno tutte le mosse necessarie.  Di Battista parla un linguaggio di verità politica – è difficile negare che molte cose, nelle mosse e contromosse che hanno infiorato miserevolmente la storia nazionale dell’ultima stagione, da Monti a Renzi, non  siano andate come lui denuncia – ma c’è anche moltissimo di non conforme alle regole istituzionali e alla democrazia delle regole, soprattutto,  in quello che Di Battista sostiene.

Napolitano si dimetta e il Parlamento elegga un nuovo capo dello Stato, che dovrà sciogliere le Camere e permettere al Paese di andare a nuove elezioni con la legge proporzionale delineata dalla Corte costituzionale. Ma chi darà l’ok alle mosse previste? Sembra un non problema. Chi avrà poi  anche un solo voto in più – ovviamente il M5S, spiega Di Battista – riceverà l’incarico di governo e il loro incaricato si presenterà al Parlamento con tre proposte sfida: reddito di cittadinanza, legge contro la corruzione, conflitto di interesse. Ma l’incarico è, secondo Costituzione, per la formazione del governo, per ottenere la fiducia e avere una maggioranza che lo sostenga. Non per sfidare l’aula sulla bontà di tre proposte bandiera. Di Battista tutto questo lo sa benissimo. Perché dunque continua a denunciare la violazione di troppi dispositivi istituzionali e il distacco dallo spirito costituzionale di molte scelte compiute dall’establishment nazionale,  per poi illustrare scelte che sono criticabilissime proprio per lo stesso motivo? C’è una risposta: perché loro sono loro e gli altri sono gli altri. Tutto qui, storia antica come l’umana vicenda ci insegna.

La piazza contro i Palazzi ha sempre ragione perché lo stabilisce Grillo? La rete è il nuovo messia che annuncia  la nuova democrazia? Il machiavellismo strumentale, quello che si fa forte di ogni occasione che la storia ti mette davanti, è duro a morire?

C’è di tutto e di più nella semantica politica  e nella concretezza operativa del M5S. Grillo, Casaleggio e Di Battista sono tre personaggi all’apparenza diversi da vari punti di vista: nell’approccio ai problemi, nell’eloquio e nel linguaggio del corpo, nel pregresso bagaglio culturale, nella graduatoria delle cose da fare. Ma hanno in comune molto forte lo spirito del tempo, ne sono, in qualche misura, l’espressione più significativa e dirompente. Hanno contribuito a condensarlo e implementarlo.

Nella politica antisistemica di Grillo  sono infatti confluite tutte le scorie della crisi della politica e le crudeltà  economico-sociali che hanno allargato a dismisura quella crisi, tingendosi via via dei colori del qualunquismo indifferenziato e dell’odio viscerale contro tutto e tutti. Un intreccio senza fine, amplificato dall’impatto della rete su porzioni importanti di nuovi mondi generazionali e culturali, in questi lunghi anni di marcescenza del sistema dei partiti, tra crisi della politica tradizionale e genialità della rete, tra insofferenza popolare e protagonismo comunicativo di chi è in grado di misurarsi con questa dimensione,  e, soprattutto, tra insopportabile supponenza dei Palazzi e furore delle piazze. Lo spirito del tempo, il mood, l’aria che si respira, quella che, per il decisivo apporto del grillismo, ha sdoganata tutto, permesso tutto, implementato una crescente assuefazione  ai peggiori insulti politici e personali. E a tutto ciò fa da controcanto oggi il banale conformismo moraleggiante “del fare” perché “gli italiani ce lo chiedono” della squadra renziana. Che non è davvero un’alternativa, anzi facilita le slabbrature e gli slittamenti.

Massimo Recalcati – psicanalista alle prese con le tematiche della crisi dell’ordine maschile – sostiene che Grillo ha rimesso in circolazione il fantasma della purezza cioè l’ingrediente fondamentale da sempre di tutte le visioni rivoluzionarie più esclusiviste e organicistiche. Recalcati dice “fondamentaliste”.  E’ anche così, infatti. Nelle performances di Grillo, che è il grande predatore del consenso, i toni, la semantica, i riferimenti politico-culturali  sono spesso – mai come nel fuoco dell’attuale competizione elettorale – da appuntamento col tribunale della storia.

Giudizio finale per tutti, inappellabile e definitivo, come una condanna a morte. Gogna mediatica, lupara bianca, tra un po’ confino. Ci sono, accanto all’esaltazione della rete come alfa e omega di tutto, le pesanti suggestioni di stagioni negativamente segnate, in certi casi drammaticamente segnate, dall’assolutismo ideologico della modernità, quando fu incapace di risolvere i suoi problemi e si affidò alla politica degli assoluti. Questo è il tratto davvero molto negativo  del M5S. Che ne fa – a dispetto della rete – un reperto del passato, quel passato che continuamente ritorna, come in un gioco dell’oca. Arcaico post moderno, tanto per capirci. Ce lo insegna di nuovo l’Europa, con tutti i suoi raggruppamenti antieuropeisti, diversi tra loro ma accumunati da una pretesa purezza identitaria, etnico-culturale, nazionalista. Il tratto davvero negativo del movimento è questo. Non che salgano sui tetti di Montecitorio o facciano opposizione dura in Aula o esercitino tout azimut il loro diritto dovere di controllo sull’operato del governo. Se vanno oltre le regole convenute, subiscano sanzioni, richiami e tutto quello che è previsto e regolamentato. Ma l’assolutismo ideologico, che si fa dogma e cattedra di verità, segna la distanza incolmabile tra la Costituzione repubblicana e  le strategie pentastellate, tra le buone intenzioni degli obiettivi, che Di Battista illustra con competenza parlamentare, e le pratiche istituzionali attraverso cui  quegli obiettivi dovrebbero essere realizzati. Vogliono cambiare le regole, passare dalla democrazia rappresentativa a quella diretta, tramite rete, oppure a un mix tra le due o altro? Ok, chiedano  e si battano per un’Assemblea costituente, perché solo una sede di tal natura può cambiare i capisaldi su cui si fonda il nostro ordinamento. Non certo una vittoria elettorale del M5S.

Ovviamente per il momento le performances estremistiche di Grillo possiedono soprattutto la funzionalità di creare un clima galvanizzante tra i seguaci e i sostenitori del movimento, che sono, va ricordato, soprattutto giovani, una marea, insofferenti e adrenalinici, se appena vedono un barlume di speranza, e con Grillo evidentemente lo vedono. Ed è questo il problema su cui davvero bisognerebbe competere col M5S.

Nel match Grillo/Vespa, nel Porta a Porta di lunedì sera, Grillo ha ingarbugliato le carte, giocato a ruzzica,  evitato furbescamente ogni insidia, sgusciando via come un‘anguilla, riuscendo a dominare la scena soprattutto perché, nonostante i tentativi di Vespa di contenerlo, è riuscito a trasformarla in un luogo a sua misura e a sua performance comunicativa. Lui voleva questo, non voleva essere promosso come statista o presidente di un nuovo partito. Voleva trasmettere il suo messaggio – e forse ci è riuscito – a quella parte dell’elettorato che non ha dimestichezza con la rete, che ha perso i suoi riferimenti tradizionali, soprattutto la leadership di Berlusconi, e probabilmente è tentata dall’astensione. Grillo è a loro che si è rivolto, frammenti del blocco sociale che hanno fatto le fortune elettorali di Forza Italia e del Pdl e ora non sanno più a che santo votarsi. Grillo ha parlato di tasse, di piccola impresa, del loro mondo. Elettorato di centrodestra, diverso da quello a cui si indirizza Di Battista, col suo reddito di cittadinanza e lo stop degli F35. Ma il M5S è trasversale, destra e sinistra non ci sono più e tutto fa brodo. Compreso il certosino lavoro emendativo su cui molti parlamentari del movimento si industriano, spesso meritevolmente, e che viene agitato da Grillo come un vessillo di se stesso. E sarebbe invece un lavoro non sprecato o scarsamente influente come rischia di essere, alla fine, se quei parlamentari si muovessero un po’ più liberamente rispetto alla ferrea ideologia di cui sopra, e cominciassero e mettersi in gioco: percorsi, idee, vecchie e nuove competenze.

Le cose stanno così ed è evidente anche ai sassi che tutto questo operare ricade continuamente su se stesso, mentre la critic di Grilloa, anche la più acuminata, risulta impotente perché non è in grado di generare un prospettiva diversa. Ma loro, oggi, vogliono  solo questo:ribadire la propria innocenza incontaminata. Si vedranno gli sviluppi dopo il 25 maggio, annunciano. Ed anche per questo lato molto italiano delle cose europee, il 25 è una data densamente politica.

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