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Giovedì, 19 giugno 2014

Il presidente convoca il Consiglio di Difesa e detta la linea al governo

Consiglio Supremo di Difesa,

Il Medio Oriente devastato da guerre e conflitti non trova, come i fatti ci informano, la via della pace e l’Occidente, che di quelle guerre ha molte responsabilità, lancia allarmi preventivi sulla sicurezza, chiama a raccolta le forze, prepara i droni e chissà che altro. E, secondo le tradizionali pratiche della politica di potenza, stringe alleanze di convenienza con i nemici di ieri, proprio quelli che da tempo erano inscritti nel libro neri dei malfattori internazionali. Siamo di nuovo, vien da pensare, nel sempre della vicenda umana, ma oggi aggravato dall’eccesso di tutto, a cominciare da quella globalizzazione della crisi, della tecnologia, della digitalizzazione militare, che accentua all’estremo la fragilità dl mondo.

L’Italia, come sempre da quando qualcuno ha deciso che l’articolo 11 della Costituzione non sia altro che un patetico reperto del Novecento, annuncia di far parte della squadra “dei nostri”, qualunque essa sia, e del suo gioco, qualunque possa essere. Ne va della sicurezza – e di ben corposi interessi, ovviamente – e “noi vogliamo fare la nostra parte”. Forse in questo nuovo contesto, in cui così dilavata appare la tradizionale cultura di pace diffusa una volta nel Paese, non ci sarà più bisogno dell’onnicomprensiva denominazione di “missioni di pace” che ha contrassegnato la partecipazione italiana a varie imprese militari assai poco di pace.

Ci pensa il Consiglio Supremo di Difesa, presieduto dal Presidente della Repubblica – l’infaticabile su tutti i fronti Giorgio Napolitano – a lanciare l’allarme e scaldare i cuori. Riunito in questi giorni, il Consiglio avverte che la situazione internazionale mostra “preoccupanti segni di peggioramento”, e elenca i punti di crisi che incombono: dall’Ucraina ai progressi “dell’estremismo islamico nell’Africa sub-sahariana”, dall’Iraq, alla Siria, senza dimenticare ovviamente la nostra dirimpettaia Libia. Con cupezza, il Consiglio avverte anche che “ogni Stato fallito diviene inevitabilmente un polo di accumulazione e di diffusione globale dell’estremismo e dell’illegalità ed è quindi “fondamentale sostenere preventivamente e in fase ricostruttiva le strutture istituzionali del Paesi aggrediti o a rischio, per metterle in grado di garantire l’ordine e il rispetto della legge”. Nulla ovviamente viene menzionato dal Consiglio sulle pesantissime responsabilità che l’asse atlantico ha rispetto allo stato delle cose. Ma anche questo fa parte di quel sempre che ci perseguita, da cui non sembra possibile uscire davvero.

Essenziale e fondamentale, sentenzia sempre il Consiglio, sostenere il dialogo volto a individuare idonee soluzioni politiche e diplomatiche. Siamo insomma di nuovo chiamati a mettere in conto missioni di peace keeping, peace enforcing, nation building? O qualcosa di più “contemporaneo”? Non a caso l’istituzionale filippica preventiva del Consiglio si conclude con l’appello al compimento del “profondo processo di rinnovamento, riorganizzazione su basi interforze e integrazione multinazionale intrapreso per rendere lo strumento militare più pronto ed efficace nei confronti delle effettive minacce da fronteggiare”. Tecnologia militare a gogò, insomma, perché questo è il nocciolo duro della riorganizzazione in programma.

Oggi si dice apertamente ciò che da tempo è un dato di realtà e che Forza Italia mette come elemento d’analisi a sostegno della sua iniziativa sul presidenzialismo. Lo slittamento del ruolo e delle funzioni del capo dello Stato, rispetto alla precisione e alle precisazioni dei compiti previsti dalla Carta, è andato avanti in modo tale che non si può proprio più negare. Ed è tale, detto più chiaramente, che l’assunzione da parte di Napolitano di un profilo molto politico e molto direttamente politico, funziona ormai come un dato della quotidianità del governo. La forza di Renzi è innegabilmente anche merito del suo Lord Protettore. Il Grande Vecchio che fa grande il giovane? Bisognerebbe parlarne perché c’è anche questo nelle fortune del nuovo premier e nel suo giovanilismo tout azimut.

Il Consiglio supremo di difesa è un organo di rilevanza costituzionale per il semplice fatto di essere annoverato tra le prerogative funzionali del Presidente della Repubblica nell’articolo 87 (il capo dello Stato “presiede il Consiglio supremo di difesa costituito secondo la legge”). Il Consiglio fu infatti istituito con la legge 28 luglio del 1950, n. 524, poi ricompresa senza modifiche nel Codice dell’Ordinamento Militare – Decreto Legislativo del 15 marzo 2010. La sua è una funzione di supporto e coordinamento di tutto ciò che ha che vedere con la Difesa, a disposizione del Presidente della Repubblica, “per permettergli di acquisire circostanziate conoscenze degli orientamenti del Governo in materia di sicurezza e difesa” e poter svolgere adeguatamente il complesso ruolo di equilibrio e garanzia attribuitogli dalla Costituzione.

Ma se le funzioni costituzionali cambiano segno, slitta e cambia segno la funzione delle istituzioni di servizio. Se la Presidenza della Repubblica si politicizza può non politicizzarsi il complesso degli strumenti a sua disposizione? E dunque il Consiglio supremo può giocare alla grande il suo ruolo di strumento politico,  anticipando analisi, preoccupazioni, ipotesi che sarebbero in prima, essenziale battuta politica competenza del governo e del Parlamento.

Così vanno le cose. Anche perché il silenzio del governo su tutti i problemi di natura internazionale, difesa, sicurezza – a meno che non prenda infaustamente la parola Alfano sull’immigrazione, è assordante. Al punto che la ministra della Difesa Pinotti si dimentica, e glielo ricorda per fortuna il deputato di Sel Giulio Marcon, che la commissione difesa della Camera, a conclusione dell’indagine conoscitiva chiusa ai primi di maggio, ha approvato una relazione in cui si parla di riduzione degli F35 mentre a oggi, nessuna decisione operativa da parte del Governo  è stata presa. Pinotti aspetterà le direttive del Consiglio, che già un anno fa tuonò contro l’ipotesi discussa in sede parlamentare di ridurre gli acquisti?  Consiglio versus Camera, roba da matti, Ma la Camera, appena resuscitata da Napolitano, allora incassò la ramanzina.

Forse, a spiegazione dei silenzi ministeriali, bisogna ricordare che anche il Pentagono pungola la Difesa italiana a un ripensamento sulle spese militari. Capiamo le ristrettezze del bilancio italiano, dichiara Chollet, l’esponente del Pentagono presente a Roma per una conferenza, ma bisogna tener presente “l’importanza strategica dei nuovi caccia F-35 per le capacità militari future degli Stati Uniti e dei loro alleati”, e chiarisce, col solito pragmatismo americano, anche il lato del business perché “da quando l’Italia ha diminuito il piano originale di acquisizione da 131 aerei a 90, si sono visti gli effetti negativi che possono verificarsi quando le acquisizioni diminuiscono e, purtroppo, c’è stato un decremento nella partecipazione industriale dell’Italia e nei posti di lavoro associati con gli F-35″.

Materia ancora una volta e in modo più stringente da Consiglio supremo della Difesa, visto l’addensarsi di cupe nuvole all’orizzonte? C’è da scommetterci. Questo dimostra come il nostro Governo, nei settori strategici, sia solo il portavoce di Finmeccanica e degli interessi delle grandi industrie.

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