Il senso della sfida di Alexis Tsipras
La decisione di Alexis Tsipras di scegliere la via delle elezioni anticipate, congedando il suo governo e mettendo in conto la frattura di Syriza, che ne aveva assicurato la vittoria, è carica di ambiguità. Non è infatti per niente chiaro, o ancora non abbastanza chiaro, il senso che Tsipras intenda dare alla sua azione futura ed è invece molto chiaro il contesto della sconfitta che il governo greco ha subito con l’imposizione autoritaria dell’accordo capestro. Se è evidente che – parlo come una che ha fortemente sostenuto Tsipras – non possiamo più pensare che gli impegni del programma di Salonicco tornino a essere sic et simpliciter la bussola di un futuro nuovo governo a guida Tsipras, il fatto che non vada del tutto perso quanto di positivo c’è stato in quella vicenda e anche di esemplare, nell’azione disperata del leader greco, dovrebbe essere questo, in qualche misura, una preoccupazione di tutti quelli che continuano a ragionare in termini di “alternativa” all’attuale governance neoliberista dell’Eurozona. E tra Salonicco e oggi qual è il senso di una scelta come quella di Tsipras?
Ma della decisione di Tsipras, per i caratteri di ambiguità che essa ha, ognuno può darne la lettura che vuole e la decisione inevitabilmente divide il campo di quanti con convinzione avevano sostenuto l’azione di Syriza nel corso degli ultimi due anni. Leggo su Facebook che della mossa di Tsipras molti mettono in risalto la portata democratica. Non condivido il giudizio, in particolare per due aspetti. Il primo è di analisi: penso che Tsipras non avesse altra strada che le dimissioni, se non voleva cadere nelle mani dei suoi avversari greci e diventare oggetto, senza più potere alcuno, dei loro rapporti con la Troika. Che, io penso, non sono ovviamente gli stessi rapporti a cui pensa Tsipras. Il secondo aspetto è di concezione della democrazia: non sempre l’appello al popolo – di questo si tratta con lo scioglimento del governo da parte di chi lo ha in mano – è democrazia. Può, in certi casi, l’appello al popolo, essere il frutto di una dinamica democratica , ma sarà, allora, di una sorta diversa dal tipo di democrazia che i dispostivi della democrazia rappresentativa assicurano. Oggi non è davvero né di questa pasta né dell’altra.
Nel giro di un mese Tsipras chiede che avvenga su di lui una sorta di investitura in bianco e la chiede a un elettorato sfiancato da un anno di febbrile e continua fibrillazione e oggi assolutamente non in grado di valutare alcunché degli accordi intercorsi tra governo greco e governance di Bruxelles. E degli effetti che produrranno. Si tratta in realtà – così la chiamo io – di una richiesta di affidamento. Si può pensare che sia l’unica strada oggi, per evitare che la Grecia precipiti nel caos e Alba dorata ci sguazzi dentro: si può anche pensare che il popolo che ha seguito Syriza, esausto, desideri fernarsi un po’, vedere come possano girare le cose. Io non lo so come stiano le cose su questo versante e sospendo il giudizio, Ma so ma occorre ritrovare il senso delle cose che si fanno, riscoprendo le parole per dirle, ragionarci sopra, e spiegare con chiarezza che le ragioni vere per fare ciò che si propone.
Capisco bene Podemos, con la scadenza cruciale che ha davanti a sé e Pablo Iglesias che guarda a Tsipras, nonostante la batosta che il leader greco ha subito, come a un inveramento della politica che serve oggi, soprattutto nel rapporto con il “basso” del popolo, come dicono gli esponenti di Podemos. Ma anche qui niente è in automatico perché la percezione presso l’elettorato spagnolo potrà essere anche negativo, la trasposizione dell’antica paura operaia – che in certi casi subentrava – che la lotta non pagasse. E poi è diventato il mantra. Il senso della politica che si fa e a cui si allude, spesso va oltre quello che desideriamo avvenga, diventa proprio un’altra cosa, soprattutto nell’epoca dominata dalla performance mediatica e dall’ossessione dei social che, a modo loro, ci informano di tutto e di niente
Tsipras tiene aperta la partita, leggo ancora in questi giorni.
Io penso che tutta la vicenda che lo ha riguardato e forse ancora lo riguarderà – vedremo come – non tiene aperta la partita ma “fa parte della partita”. E’ stata l’avvisaglia dell’’apertura di una partita che per certi versi cova da tempo sotto traccia e che dovrà essere – perché una partita davvero cominci ad apririsi . molto più ampia, diffusa, articolata, passare nella mente delle persone, nel cuore e nel dsiderio di mondo di donne e uomini, ragazzi e ragazze soprattutto. E nella riscoperta di pratiche sociale e politiche “nelle nostre mani”, nella riscoperta del senso della politica in comune e nel cambio di passo antropologico dello stare al mondo. Penso che molti segnali vadano nella direzione di confermare che vari processi positivi di ricerca di un’alternativa del vivere, dei rapporti umani, della responsabilità rispetto al bene comune, già in qualche forma e misura siano in atto, di cui nessuno dà conto o in generale si dà poco conto e invece dovrebbe essere una delle pratiche da inventare di nuovo. Riscoprire la forza di una narrazione completamente fuori dal politicismo che ci uccide. Conoscere le esperienze di critica, di ricerca alternativa, di ribellione. Come il percorso aperto da un vecchio signore del Labour inglese, il mitico Jeremy Corbyn, che manda ai matti Blair e attira la crescente attenzione di molti giovani. Il mondo continua a essere bello anche perché è vario.
Yanis Varoufakis, ministro delle Finanze quasi subito dimissionario del governo Tsipras, ha espresso un giudizio per certi aspetti spietato ma realistico sull’accordo imposto alla Grecia. Parla di capitolazione del governo Tsipras di fronte ai creditori e del rischio che il suo Paese corre di precipitare nel baratro, perché spazi per resistere ai lati più duri e più invasivi del memorandum sono, a suo giudizio, pressoché inesistenti. Ma, dice, lui rimane in campo, pensa di lavorare politicamente in Europa per aiutare a costruire una forte alleanza progressista, così la chiama, senza la quale l’austerità distruggerà il vecchio continente e gli ordoliberisti colonizzeranno tutto. Anche una prospettiva come quella a cui Varoufakis pensa fa parte della partita che è aperta in Europa, a cui penso si debba lavorare intensamente. E pensarla anche nella sua proiezione verso il futuro. Perché pensare il futuro fa bene alla salute e soprattutto allena il senso critico nei confronti del presente.
Poi si vedrà. Auguri di cuore a Alexis Tsipras, che si districhi come meglio può tra le contraddizioni in cui si trova ma possibilmente – qui c’è il senso della politica che deve trovare – senza ricorrere all’inganno di poter far girare verso un giudizio positivo scelte che in mano ai suoi avversari sarebbero da condannare e che lui stesso ha avuto modo di condannare. E’ stato spesso vizio mortale di gran parte della sinistra che fu ma anche di quella che c’è.
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