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Lunedì, 30 giugno 2014

La casella

Federica Mogherini

Se mai dovesse andare in porto il disegno di Renzi di occupare, nella distribuzione degli incarichi europei, la casella che è stata di Lady Ashton, ottenendo che venga attribuita a Federica Mogherini, l’Europa, come è doveroso ricordare, continuerebbe a restare priva di una politica estera (e non per responsabilità di chi subentrasse), mentre Mogherini, attuale ministra degli Esteri del governo italiano, passerebbe da un ruolo politicamente di primo piano (al di là di come dovesse gestire il suo incarico) a uno eminentemente di contorno, privo di qualsiasi potere e influenza.

La politica estera infatti, come è noto, viene espressa dagli Stati ed è nelle mani di governi e parlamenti. Ma l’UE ancora oggi non ha nulla a che vedere con uno Stato, e questo aspetto pesa in modo emblematico proprio in materia di politica estera. Il ruolo ricoperto fino a ieri da Lady Ashton non ha avuto, neanche in piccola dose, il valore istituzionale e simbolico di cui normalmente viene rivestito un Ministro degli Esteri e il gap tra i problemi che l’Europa si è trovata di fronte in questi anni e il ruolo che Lady Ashton ha potuto esercitare ha rappresentato una costante fin troppo evidente dei rapporti internazionale. Il gap è via via cresciuto, l’Europa non c’è stata, la sua voce non si è sentita. Ci sono stati gli Stati, soprattutto quelli segnati dalla vocazione a rappresentarsi e ad agire come “grande potenza”, e ci sono interessi politici e geostrategici non coincidenti, rapporti con le potenze emergenti – oggi la nuova Russia di Putin – non sovrapponibili, spesso, almeno potenzialmente, divaricanti.

L’Europa continua a caratterizzarsi per essere ancora soprattutto il frutto di un’intesa tra governi, interessati tutti a stabilire un equilibrio tra loro,  in cui ogni Paese abbia il più possibile da guadagnare o, soprattutto quelli dell’area mediterranea, il meno da perdere. La logica dominante è quella dell’equilibrio tra potenze, proprio il contrario di una prospettiva comune.

Il Trattato di Lisbona, entrato in vigore nel 2009, dedica ampio spazio alla politica estera dell’Unione europea. D’altra parte, stilando un trattato di quella natura e volendo  affrontare il destino dell’Ue in rapporto alla dimensione globale del mondo, come si potrebbe negare l’esigenza di dare spazio a un tema di tale importanza? Ma gli articoli e il lungo dibattito emendativo che ha portato al Trattato, non colmano il gap. Sull’Europa ha continuato a pesare la sua storia più recente, hanno pesato le occasioni mancate, i fallimenti, le subalternità (alla Nato soprattutto, che gioca più il ruolo di un surrogato della politica estera dell’Ue che non quello di un’alleanza ex aequo con gli Usa), e le troppe scelte concrete che hanno impedito all’UE di  assumere quel ruolo autonomo di attore politico su cui sono stati scritti fiumi di parole. I fallimenti degli anni Novanta (Bosnia, Ruanda, Kosovo) e le divisioni dei primi anni Duemila (la bushiana war on terror, l’Iraq), fanno parte di un  quadro pregresso che continua pesare come blocco inibente per un approccio “euopeo” ai problemi, come ostacolo strutturale all’assunzione di una responsabilità condivisa.

Anche vicende più recenti confermano questo dato negativo, che è tutto politico, manifestazione di quell’interesse nazionale che varia a seconda dei Paesi in gioco. Basta osservare il comportamento degli Stati europei, in drammatiche vicende di conflitti che continuano a occupare la cronaca e che hanno a che vedere con gli interessi di contiguità dell’Europa. In Libia la Francia si è fatta protagonista dell’implosione del regime di Gheddafi, l’Italia ha provato fino alla fine a mediare, sulla lunga scia di amicizia e accordi di Berlusconi con Gheddafi, la Germania si è completamente defilata e altri Paesi sono rimasti  in una posizione intermedia. La stessa gamma di differenti valutazioni sul che fare ha caratterizzato l’Europa di fronte alle vicende della Siria, dell’Egitto e dei vari conflitti che attraversano l’Africa, il Mali in particolare.

Per questo va detto con chiarezza che nonostante i nuovi strumenti istituzionali previsti dal Trattato Lisbona, come la figura dell’Alto rappresentante per gli Affari esteri e la politica di sicurezza e il Servizio europeo per l’azione esterna, L’Ue non ha fatto nessun reale passo avanti, rimanendo imprigionata nei limiti strutturali che ne impediscono la soluzione. In particolare appunto quel “dogma intergovernativo”, che è il focus della Politica di sicurezza e di difesa comune (PSDC). Ha certo anche drammaticamente pesato la crisi economica mondiale e le sue ripercussioni sulla tenuta interna dell’UE, che ha fatto balzare in primo piano le questioni del debito, dei vincoli,  e tutto il resto, marginalizzando qualunque discorso sull’azione esterna dell’Europa. Ma le profonde divisioni emerse in più occasioni, che hanno riproposto le consuete logiche basate su interessi e priorità esclusivamente nazionali, rappresentano il problema di fronte a cui bisogna rispondere in una logica europea. Per questo più che della casella sarebbe opportuno che Renzi, nel semestre di presidenza italiana, riuscisse almeno ad avviare il discorso sul che fare affinché quella casella non rimanga ancora solo una casella.

nella foto la ministra degli Esteri italiana Federica Mogherini

Commenti

  • alberto ferrari

    Cara Elettra, è proprio il “… come è noto, viene espressa dagli Stati ed è nelle mani di governi e parlamenti” che non va. E sino a quando si lascerà che i capi di governo promuovano le nomine di ipotetiche “Lady Ashton” nulla potrà cambiare. Per questo Renzi a mio avviso fa bene a rompere questa pessima abitudine, anche perché ciò che sta succedendo con la fuga dall’Africa e medio oriente di tanti poveri cristi verso l’Europa, la si potrà risolvere solo con una forte azione politica dell’Europa nei confronti di quei paesi e dei loro pessimi governi.

  • Elettra Deiana

    Caro Alberto Ferrari non hai capito o forse non mi sono espressa con la necessaria chiarezza. L’Europa non funziona seconda la logica unitaria di uno Stato, come succederebbe se avessimo gli Stati Uniti d’Europa o la Federazione europea. Non funziona in questo modo in generale e soprattutto non funziona così in politica estera. Non esiste una politica estera comune, come scrivo chiaramente, ogni Stato europeo funziona secondo una logica e secondo interessi nazionali. I fatti lo hanno dimostrato e lo dimostrano. Li ho elencati. Volere l’Europa unita, come io vorrei e tutti dovremmo volere, significa volere che l’Europa arrivi ad avere una politica estera e un ministro – o come sarà chiamato – che parla per l’Europa. La casella occupata da Lady Ashton è una casella che non corrisponde a nessun potere, nessun mandato, nessuna responsabilità per l’Europa. Al più si tratta di compiti formali e vuotamente prestigioso come il nome (Alto rappresentante). Renzi non ha nessuna intenzione né possibilità di rompere questa situazione, che non è una pessima abitudine ma una debolezza strutturale dell’Europa. Non credo neanche che sia una sua preoccupazione di primo piano, con tutte quelle che ha sui conti, il debito, i vincoli e via elencando. Inoltre va ricordato che molte scelte importanti nelle materie decisive in Europa funzionano per decisione dei capi di stato e di governo che si incontrano nei vertici del consiglio europeo.

  • alberto ferrari

    cara Elettra, io non credo che i problemi, in politica, possano essere visti in modo così schematico. Cameron non voleva l’elezione di Juncker perché si opponeva non alla persona, ma al fatto che la nomina non fosse più espressione di capi di governo, ma del parlamento europeo. Cosi il presidente della Commissione europea continuava a non contare niente. E’ stato sconfitto . Allo stesso modo sino ad ora la casella della politica europea contava, come dici tu, poco. Ma ancora meno contava perché i capi di stato, Cameron in testa, volevano che fosse ricoperta da un personalità inesistente e che ubbidisse solo a loro. Con un figura diversa e con il mandato, di chi la propone, di darsi visibilità e dare senso a quella funzione, non è detto che le cose non possano cambiare. Io credo che dovremo imparare a leggere le vicende europee come qualcosa che esce dalle dimensioni a cui siamo abituati in Italia. L’Europa ha oltre 500milioni di abitanti, un PIL superiore a quello USA ecc. , Popoli con lingue e culture diverse. Non possiamo continuare a pensare al parlamento europeo con l’ottica con la quale guardiamo al nostro parlamento. Anche i piccoli passi sono significativi.
    Un caro saluto

  • Elettra Deiana

    Caro Ferrari, io tengo moltissimo alla messa in atto di passi, sia pure piccoli, che vadano nel senso di affermare concretamente che in Europa si vuol far decollare una politica estera europea. Non sono una massimalista ma ho un forte senso della realtà. Allo stato attuale non c’è una politica di questo tipo perché nessuno Stato la vuole realmente e ogni Stato si muove su convenienze di potere nazionale. Anche sotto l’ombrello Nato le cose vanno così, Se capisco bene, tu pensi che ciò dipenda anche o soprattutto dalla personalità di chi riceve il mandato. Su questo sono in parte d’accordo con te ma solo nel senso che una forte personalità potrebbe fare del problema un problema di interesee europeo, aprire una pista di discussione, agire in modo da far vedere, almeno sul pano dell’impostazione e del metodo, la differenza. Non risolverebbe il problema ma sarebbe un passo, Lady Ashton non ha fatto nulla in questo senso. Perché debole come personalità,, perché britannica e quindi particolarmente legata agli interessi del suo Paese? O le due cose o che altro? O perché non ci sono proprio dispositivi della governance che consentano? Se ne può discutere, Mogherini, per come la conosco e come ripeto, è una persona seria e competente, Se riuscisse a smuovere le acque ne sarei ovviamente felicissima. Ma resto convinta che la soluzione di questo non sarà nelle sue mani.