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Venerdì, 18 settembre 2015

La svolta del Labour

jeremycorbyn

L’elezione di Jeremy Corbyn a segretario del Labour ha mandato letteralmente ai matti l’establishment blairiano, suscitando l’immediato pollice verso del 90% dei 232 parlamentari laburisti. Tutto ciò era scontato, così come scontata – o prevedibile – era la campagna di delegittimazione del nuovo leader, che si è scatenata subito dopo la sua inattesa vittoria. E’ l’ortodossia neoliberista in chiave blairiana che viene messa in discussione, non nei dibatti accademici tra economisti ma per un’irruzione di popolo sulla scena. Questo è quello che all’improvviso è successo in Inghilterra. E Corbyn viene accusato di tutto: esponente di altri tempi, un conservatore di lunga data – ahi, ahi, le parole sempre più indistinte, di cui si nutre la nostra epoca, così semanticamente frullata! – un nostalgico, votato alla sconfitta elettorale e, soprattutto – si insiste da tutte le parti – un personaggio del tutto incongruo a misurarsi con la questione del governo. Il premier conservatore Cameron lo ha definito senza mezzi termini “un rischio per la sicurezza nazionale” – Dio salvi la Regina! – e Tony Blair, che ai suoi tempi piegò il Labour alle ragioni dell’ortodossia neoliberista, durante la campagna per l’elezione del nuovo segretario, ha invitato chi “aveva nel cuore” di votare Corbyn a sottoporsi a un trapianto dell’organo.

Ma resta il fatto, inoppugnabile, che Jeremy Corbyn ha vinto alla grande, portandosi appresso, inaspettatamente, il consenso di un gran numero di giovani inglesi, quelli, che, anche là, si vedono deprivati dei loro diritti e di un futuro degno di questo nome. E resta anche che nel giro dei due giorni successivi alla vittoria ben trentamila nuove adesioni sono arrivate al partito, con una significativa prevalenza, ancora una volta, di giovani e giovanissimi. Maggioranza invisibile – giovani no future, pensionati poveri, donne discriminate, migranti – la chiamerebbe il giovane studioso italiano Emanuele Ferragina, autore di un libro con quel titolo. Maggioranza invisibile, che ha trovato in Corbyn la voce per dirsi e rappresentarsi come esistente. Almeno questo, per il momento. Ed è oggi la scommessa da cui partire, anche in Italia.

Jeremy Corbyn, con i suoi 64 anni, è l’esponente di un’antica storia di sinistra, tutta interna al Labour; storia che sembrava morta e sepolta e che oggi rinasce sotto altre sembianze. Questo è un punto nodale, che allontana il nuovo leader dalla vecchia socialdemocrazia e lo avvicina a esperienze contemporanee come quella di Syriza o di Podemos, con in più alcune radicalità antiche, oggi forse desuete. Lui è poi, in tutto e per tutto, un outsider e anche questo segna un passaggio, soprattutto se si confronta lo stile del nuovo leader con il meanstream del politically correct e dei rituali istituzionali di Westminster.

Ateo dichiarato, repubblicano (nel senso che vorrebbe abolire la monarchia britannica), ostile alla Nato – vorrebbe proprio uscirne – e pacifista, di quelli che continuano ad andare alle manifestazioni, Corbyn ha subito segnato della sua presenza non conforme la ritualità degli eventi pubblici in Inghilterra. Proprio all’indomani dell’elezione, in occasione di una messa in suffragio degli avieri morti nella battaglia d’Inghilterra, presenti il premier Cameron e il ministro della Difesa Fallon, non si è unito al canto dell’inno in onore della Regina, cantato, come da cerimoniale, da tutti i convenuti . Anticonformista e in odore di populismo, insomma, cioè il peggio che oggi si possa dire di un esponente politico che esca dai ranghi dell’ordine del discorso dominante e dal potere performativo, cioè di rimbambimento intellettuale e sentimentale, che quell’ordine ha in sé.

Che voglia mettersi in connessione col popolo, o con un qualche popolo di riferimento, il nuovo leader del Labour lo ha per altro dimostrato chiaramente in occasione del Prime Minister’s question, appuntamento costituzionale di grande impatto pubblico del parlamentarismo inglese. Ogni mercoledì il Primo Ministro deve rispondere, in diretta televisiva, al fuoco di fila dei deputati della sua maggioranza e dell’opposizione e soprattutto deve fare i conti – in una sorta di corpo e corpo – con i quesiti, le domande, le osservazioni del capo dell’opposizione. Per la sua prima uscita in questo ruolo, capo dell’opposizione e dunque aspirante futuro premier, Corbyn ha scelto di rivolgere al premier alcune domande selezionate tra le decine di migliaia che nel frattempo aveva ricevuto dai suoi sostenitori. Domande di popolo, domande che rimandavano a problemi incarnati nella vita di donne e uomini, persone che in diretta le hanno potute ascoltare dette dal capo dell’opposizione, nel luogo più importante del sistema politico-istituzionale del Paese. Niente a che fare col politicismo che anche là abbonda, con le tattiche di palazzo, e altro. Domande invece semplici, dirette, sulla crisi degli alloggi, lo stato sociale, l’assistenza, la quotidianità delle persone. A cui lo stesso Cameron ha dovuto rispondere cercando di essere il più sincero, semplice e esauriente possibile.

La suggestione di una torsione populista – o di una politica in tutto e per tutto populista – è oggi l’inevitabile prodotto della liquefazione delle tradizionali forme del vivere associato, degli apparati e delle forme di mediazione in altri tempi assicurata verso il basso, verso i gruppi sociali e il popolo in generale, da partiti, sindacati e altro. Per la sinistra, in particolare, è la conseguenza della liquefazione della forza sociale e politica del movimento operaio, colonna del Labour, prima della Lady di Ferro, tanto per fare un po’ di memoria. La società atomizzata e individualizzata di oggi è una potente gabbia simbolica, il luogo per antonomasia dell’invisibilità, che ghettizza e nasconde il dolore sociale, il rancore degli ultimi, l’odio anticasta dei ceti medi impoveriti. Per essere attraversata criticamente e diventare terreno di una nuova idea e di una nuova pratica di sinistra, ha bisogno di una politica che faccia vibrare in una corda collettiva le mille battaglie sparse, che ci sono ovunque, ma che sono votate all’impotenza politica.

E ha bisogno di nuove leadership, capaci di rompere con le esangui forme fantasmatiche della politica degli inganni, tipica di ciò che resta dell’antica sinistra. Così dicono giustamente quelli di Podemos, così ha scommesso e scommette ancora Syriza, probabilmente così ha capito Corbyn, che con i nuovi tentativi di fare sinistra in Europa ha forti legami. C’è del populismo in questo, ma bisogna intendersi. E’materia che deve essere sottratta, per quel che è possibile, ad un dibattito mediatico fuorviante che per stigmatizzare le critiche di destra e di sinistra tende ad unificare tutto e ad identificare i contorni di una forza politica soltanto sulla base di una opposizione,  a delegittimare chi non stia alle regole dominanti, considerate uno stato in sé indiscutibile, un assetto naturale e imprescindibile del sistema politico e delle regole economico-sociali. Se non sei d’accordo sei un populista, a meno che non si tratti del populismo di maniera, funzionale all’esecutività dell’ordine dato, di un Renzi e di altri come lui.

Antonio Polito, sul Corriere della sera, parlando della vittoria di Corbyn e sottolineando la curvatura populista del suo modo di intendere la politica, argomenta che non sono i programmi il forte dei nuovi populismi. Ciò che spinge questi movimenti è la voglia di dar voce a un sentimento, è la rivolta dei piccoli e deboli contro l’establishment , la rabbia contro l’uno per cento dei ricchi che l’hanno sempre vinta. Ovviamente i programmi ci sono e se vengono letti le differenze tra destra e sinistra saltano agli occhi, così come le ambiguità e le contraddizioni, inevitabili quando si tenta un nuovo cammino e il confronto politico soffre di asfissia da troppo tempo.

Ma la partita che oggi si è aperta in Europa, e di cui la vittoria del Jeremy Corbyn è un altro segnale, è proprio questa: che le contraddizioni sociali, politiche, di senso di cui è ormai intessuta la vicenda europea vengano in superficie e diventino terreno di conflitto, elaborazione di idee e proposte, sperimentazione di nuove pratiche politiche, che mettano davvero in discussione l’Europa che c’è. E’ sicuramente per il momento l’aspetto più confortante della vittoria di Jeremy Corbyn.

Commenti

  • AquiloneSchritttempo

    Un successo così per la sinistra italiana non si vedeva dai tempi della vittoria di Zapatero in Spagna e l’ascesa di Tsipras in Grecia.