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Mercoledì, 27 agosto 2014

L’assenza di una misura maschile

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L’ossessione del penale, della norma salvifica, dello Stato chiamato a farsi protettore delle vittime, non ha fatto da contrappunto, quest’estate, all’escalation di morti di donna per mano maschile, che puntualmente e spesso con particolare virulenza nei mesi estivi, riempie le cronache. Alcuni degli ultimi femminicidi sono stati oltre misura efferati e alcune uccisioni – per mano paterna – hanno colpito anche delle figlie o dei figli o soltanto loro, che è sempre un modo per uccidere nell’anima la donna che si vuole colpire. L’insopportabile ossessione per altro non si è ripetuta per il fatto che oggi una legge – quella tanto a lungo invocata l’estate scorsa come la soluzione di tutti i problemi – c’è:  pessima nell’ispirazione giuridica, raffazzonata nei modi in cui è stata redatta, priva di efficacia nell’ottenimento di significativi risultati. Per di più inadeguata o latitante su alcuni terreni invece fondamentali, come un finanziamento non residuale dei centri antiviolenza e, soprattutto, la messa in cantiere nella scuola pubblica a tutti i livelli del grande tema dell’educazione sentimentale, a cui, per esempio, è ispirata una proposta di legge presentata alla Camera all’inizio di questa legislatura dalla parlamentare di Sel Celeste Costantino, e su cui, mai come in questo periodo, va ripetuto, sarebbe grandemente opportuno aprire un confronto a tutto campo, sapendo di doversi misurare con uno dei grovigli di antropologia delle relazioni umane – di coppia e di relazioni paterne e materne — più complessi e spiazzanti della contemporaneità.

Le donne e le loro creature dunque. Nel mondo costruito a misura maschile, a partire dal significato che il potere patriarcale attribuiva alle cose, e dall’autorità che il patriarca incarnava e rappresentava, i figli (maschi e in primis il primogenito) costituivano in tutti i sensi la forza intrinseca dell’ordine costituito, la sua continuazione e proiezione nel futuro, il suo rispecchiamento identitario, la sua semantica ordinativa. Erano la messa in scena simbolica di quell’ordine a tutti i livelli. L’ordine sociale e l’ordine familiare, l’ordine civile e l’ordine militare, l’ordine del re e l’ordine del pater familias. Il riconoscimento del nato da parte del padre sanciva la legittimità della nascita – in quanto frutto di quel seme – stabilendo la collocazione del figlio in seno alla famiglia e riconoscendone il diritto a far parte della comunità sociale. Tutto questo – una vera e propria ri-nascita sociale – riduceva la nascita da madre a puro dato di natura e la madre a puro contenitore del seme maschile, destinata intrinsecamente per natura a essere soltanto questo. Punto e a capo.

I figli erano progenie, discendenza, ricchezza, corpi da combattimento e braccia da lavoro, sostegno della vecchiaia e ponte simbolico per quell’eternità che il patriarcato coltivava come ontologico mito fondativo di se stesso. Continuazione del nome, della famiglia, della stirpe, del regno. Del logos. Erano insomma misura di tutto, a tutti i livelli della scala sociale e secondo quello che a al livello dato era possibile e consentito. Rispecchiamento sociale e personale. Su di essi, soprattutto negli anni dell’infanzia e dell’adolescenza, si poteva esercitare in forme spesso insopportabili, vessatorie e anche crudeli, il potere patriarcale. Sulle donne e sugli adolescenti. Soprattutto però con l’obiettivo di perpetuarlo, quel potere di maschi, e dunque l’ordine del discorso tornava sempre. Nel bene e nel male.

Le figlie erano tutto ciò che nella casa paterna e poi in quella maritale rendeva possibile – perché a questo la natura le destinava – a riprodurre le condizioni materiali e esistenziali di quell’ordine e di quella trascendenza maschile. Nel nome del Padre, che tutto aveva predisposto.

C’era però anche il desiderio (maschile e femminile) dissonante, che si mescolava talvolta, con mosse di libertà, nei percorsi così segnati dell’ordine patriarcale; c’era, poteva esserci, lo scarto, lo sguardo obliquo, l’uscire dal seminato, il pensare e l’agire non conformi o il pensare l’impensato e il fare cose fuori norma, sfidando l’ordine o agendo tra le pieghe. Tutto quello insomma che ci fa umani e permette sempre che le cose umane cambino, anche quando sembra che niente possa cambiarle. E nel patriarcato questo sembrava e in larga, prevalente misura era proprio così. Ma Elena Lucrezia Cornaro, figlia del patrizio veneziano Giovanni Battista, mecenate e uomo di pensiero anticonvenzionale, poté dare seguito al suo desiderio di studiare e alla sua passione intellettuale perché il suo desiderio incontrò il desiderio del padre, che era di assecondare l’intelligenza della figlia. E lei poté laurearsi – la prima donna nel mondo – in un giorno del 1678, a Venezia, come una targa veneziana ricorda a futura memoria. Variazioni o fughe, ma l’ordine rimaneva tale e – accogliendo benevolmente, tollerando, sanzionando, punendo – dava senso anche alle variazioni e alle fughe. Soprattutto, il senso lo dava o lo restituiva sempre agli occhi maschili. E dunque l’ordine del discorso tornava sempre, Nel bene e nel male,

Oggi siamo nel post patriarcato di una transizione complessa, erratica, confusa e anche convulsa, dominata dalla crisi del maschile e affollata di patriarcalismi vecchi e nuovi, come l’affanno di certi maschi di recuperare potere sul corpo sui desideri sulla vita di una donna; patriarcalismi, che accentuano, spesso fino allo spasimo, quella crisi, come le continue uccisioni di donne stanno a indicare e anche ormai le uccisioni di figli e figlie. Catastrofe antropologica del non avere più – molti maschi – una misura della e per la loro esistenza. Figli e figlie che con questa crisi hanno molto a che vedere, perché in loro si rispecchia in modo indiretto il desiderio maschile messo sotto scacco, perché il possesso di una donna, nel post patriarcato segnato dalla libertà femminile, è sempre fragile e sfuggente, e perché quei figli diventano spesso un tutt’uno con l’ossessione di un ubi consistam, di una sicurezza esistenziale, che a un certo punto può sfuggire e dissolversi, nessun ordine esterno rispetto a quello che è nelle nostre mani essendo più in grado di garantire la realizzazione di quell’ossessione. Perché nel post patriarcato l’ordine del discorso non torna più. Nel bene e nel male.

Evaporazione del padre e ossessioni maschili del post patriarcato.

Immagine di Barbara Kruger 

 

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