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Giovedì, 26 novembre 2015

Lezioni da un viaggio in Africa

pope

Le religioni si sa, usano esprimersi per simboli. Da questo punto di vista, il viaggio di Papa Bergoglio in Africa è ricchissimo di segnali politici e di momenti simbolici. Questa prima volta nel continente più dimenticato dagli uomini di Francesco ripropone il copione del viaggio in America Latina dello scorso luglio quando si recò in Ecuador, Bolivia e Paraguay. Sostanzialmente tre paesi della “periferia” del Sud America e non solo del mondo. La stessa scelta con la quale si recherà in Uganda e Repubblica Centrafricana. Il Kenya non è invece periferia, ma un’importante paese negli equilibri regionali dove hanno sede diverse organizzazioni internazionali. Infatti Francesco visiterà l’importante sede dell’ONU che segue prioritariamente le tematiche delle migrazioni forzate e del cambio climatico. Il Kenya, paese dal quale si alzò forte negli anni ’80 la voce di Alex Zannotelli che aveva scelto di vivere nella discarica di Corococho ponendo con forza il tema delle periferie e del commercio delle armi, oggi temi centrali nell’agenda del Pontefice.

Il viaggio di Bergoglio è anche un messaggio agli isterici politici occidentali, che in nome dell’emergenza terrorismo pianificano dirottamenti della spesa sulla sicurezza alimentando ulteriormente quel serbatoio di reclutamento del terrorismo che è l’emarginazione e la povertà (parole del Papa). La battuta «temo più degli attentati le zanzare» suona come una sberla alla politica blindata e inefficiente anche sul piano della sicurezza, con un richiamo al ritorno alla normalità, e cioè alla ricerca del dialogo per risolvere i conflitti. Nella misera e martoriata Repubblica Centrafricana da lunghi anni di conflitti etnici e religiosi tra cristiani e mussulmani, Bergoglio arriverà al punto nodale di questo viaggio. Nella cattedrale di Bangui darà il via al Giubileo, che per la prima volta nella storia inizierà fuori dall’Europa, e lo stesso giorno si recherà alla Moschea centrale di Bangui per incontrare i mussulmani. E questo in un paese dove i cristiani sono stato spesso perseguitati dai fedeli dell’Islam acquisisce un significato alto, un gesto concreto per porre fine allo scontro e allo stesso tempo la ricerca di modalità di convivenza pacifica. Politica allo stato puro, politica per la pace e con logiche di pace.

I contenuti dell’agenda africana di Bergoglio: giustizia, cause del terrorismo, ineguaglianze, traffico di armi, disastri ambientali, profughi, povertà, corruzione sono come il fumo negli occhi per un mondo conservatore che non si rassegna a subire questo Pontificato “di strada”. Gli attacchi a Francesco da parte delle congreghe più oscure e legate ai poteri forti non si contano, ma questo pare rinforzare il Pontefice piuttosto che colpirlo. Una forza che viene dal contatto diretto e quotidiano con il suo popolo, dal suo parlare senza timori di ciò che pensa, dal sentirsi interprete di una cultura che non è solo religiosa, ma anche politica. Forse per questo Papa Francesco piace alla sinistra, che addirittura fa finta di non conoscere le sue inclinazioni conservatrici in materia dottrinale. Un Papa diventato leader globale e punto di riferimento per gli ultimi e per chi vuole cambiare la società non era previsto dal copione della globalizzazione, ma è stata una delle sorprese positive di questo inizio di Millennio.

 

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