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Giovedì, 7 luglio 2016

Loi travail, il governo francese scavalca il parlamento. Perché quello che accade in Francia ci riguarda

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I parlamentari francesi, di sinistra e verdi, contrari alla proposta di legge sul lavoro (Loi Travail) del governo socialista, e dal governo strenuamente sostenuta, contro ogni critica e ogni opposizione, non sono riusciti a raggiungere le 58 firme di deputati necessarie per presentare, davanti all’Assemblea nazionale, una mozione di sfiducia sui modi di procedere dell’esecutivo. Sono mancate soltanto due firme e, come c’era da aspettarsi, sono stati pochi gli esponenti del partito di Hollande che hanno firmato. La loro preoccupazione, come per molti ormai della sinistra che sopravvive, è soprattutto di essere riconfermati alle elezioni del prossimo anno. Non si chiedono dove andranno a finire i voti socialisti, già messi a dura prova nei sondaggi, soprattutto dopo questa definitiva débacle politica del governo. Il distacco con quello che una volta era il “popolo” della sinistra appare totale. Non solo in Francia, come sappiamo.

Al centro della critica dei deputati firmatari c’è la condanna del gesto con cui il governo, per la seconda volta in pochi mesi, è ricorso all’articolo 49-3 della Costituzione, che permette, in via del tutto eccezionale, al governo di imporre l’approvazione di una sua legge senza dibattito parlamentare. Si è trattato in questo caso appunto della legge sul lavoro a firma El Khomari. I firmatari si dicono indignati che l’azione provenga da un governo di sinistra, su una legge, per di più, che tocca il punto centrale delle relazioni sociali, cioè il Codice del lavoro. Il corrispettivo di quello che era il nostro Statuto. Non è accettabile, spiegano ancora i deputati, che l’atto d’imperio del premier Valls confischi il dibattito democratico su una materia di tal fatta e che tutto ciò avvenga intorno a una legge sulla quale il governo non ha ricevuto nessun mandato da parte degli elettori. Il “popolo sovrano” non c’è più, la rappresentanza è un simulacro vuoto, che serve ai partiti soltanto ad occupare spazi istituzionali e giocare al ruolo di classe dirigente,

Colpisce – mi ha colpito – il silenzio tombale che si è registrato nel dibattito pubblico italiano, nel lungo, convulso periodo in cui la Francia – un Paese centrale dell’Unione europea, voglio sottolineare– è stata attraversata– tutto inizia il 19 marzo – dalla dura mobilitazione contro la Loi travail, che ha visto in azione il mondo del lavoro e larghe fasce popolari, oltre che molti esponenti del mondo intellettuale. La Loi travail è più o meno il corrispettivo dell’italico Jobs act in salsa francese, che anche in Francia il governo spaccia come lo strumento salvifico delle future generazioni. Da noi è passato come acqua fresca, in Francia invece ha preso vita e forza crescente una mobilitazione che ha visto, da una parte. l’attiva e fattiva partecipazione del principale sindacato francese –la Cgt – dall’altra, soprattutto nell’avvio del processo, con la pratica di “Nuit debout”, la mobiltzione, l’ostinazione, la volontà di non cedere al governo di un numero enorme di persone. Giovanissimi anche.

Tutto è cominciato, fuori dagli schemi, con la pratica di Nuit debout. Nel tardo pomeriggio di ogni giorno, centinaia di persone affluivano, a Parigi, a Place de la Republique, e ogni sera, in una grande, gremita assemblea, le schegge di quel che resta della sinistra e i nuovi mobilitati, sfidando per di più gli impedimenti dello stato d’emergenza contro il terrorismo, che vieterebbero assembramenti di questo tipo, hanno creato un luogo politico di relazione, scambio, discussione. Giovani moltissimi ma non solo. E tutte le categorie, via via mobilitate, con forme di lotta che appaiono ai più in Italia forse ormai inusuali, ma che là, in forma crescente, hanno bloccato il Paese e reso difficile l’ospitalità in Francia dei campionati europei di calcio.

Sulla stampa italiana, nei nei talk show, nei dibattiti politici si parla continuamente, per lo più banalmente di tutto quello che riguarda l’Europa, ogni soffio di pensiero, ogni mormorio riservato di Merkel, Juncker e altri del giro, occupa la scena e diventa materia di elucubrazioni e interpretazioni variamente orchestrate. Per non parlare delle avventure europee del premier Renzi. O della Brexit e altro del genere.

Ma questo silenzio tombale ha una spiegazione. In Francia è avvenuto un radicale spostamento dell’ordine del discorso e delle cose, perché la Francia ha portato brutalmente sulla scena la partita politico-sociale che in questi anni di governance neoliberista e di ideologia neoliberale si è giocata e si continua a giocare in tutta Europa. Partita che i governi di ogni colore hanno furbamente nascosto dietro il mantra dell’Europa che ce lo chiede e se non si sta a quelle indicazioni si finisce chissà dove. Partita, soprattutto, che è quella di debellare definitivamente i rapporti di forza che contesti storici, lotte operaie e popolari , costituzioni democratiche e sinistre politiche di un tempo avevano assicurato e fino a un certo punto garantito. Qui sta il punto centrale che viene dalla vicenda francese, al di à di come finisca o sia già finita.

Del “sociale” in Italia si parla soltanto in chiave di commiserazione – le periferie urbane affollate dai “poveracci”, gli “sfigati” quelli in via di impoverimento e cose simili – oppure di un “sociale” come serbatoio di riserva dell’antipolitica e dei populismi. Contrapposizione tra “sistemici” ed “populisti”, come ha sentenziato Il ministro Franceschini all’ultima direzione del Pd. Per il disagio sociale bisogna inventarsi qualcosa, pontifica Renzi, gli ottanta euro non sono bastati alla bisogna. E via così, in una pratica in cui si mescolano la furbizia dell’assicurarsi fette di consenso a basso costo e la riduzione del costituzionale principio di uguaglianza all’idea di una solidarietà di basso rango.

In Francia invece è andata in scena una vicenda politico-sociale che è diventata politicamente centrale là e in tutta Europa. E’ infatti l’ennesimo campanello d’allarme che la crisi dell’Ue rischia di arrivare a un punto di non ritorno. Per questo Nuit debout e il resto ci riguarda da vicino, se davvero c’è l’idea di ripensare e discutere di una soggettività politica che si organizza su posizioni alternative alle politiche neoliberiste, e ridefinisce in autonomia il proprio campo di sperimentazione politica.

Nuit debout e le mobilitazioni che hanno attraversato tutte le città francesi hanno posto in discussione non soltanto la qualità della proposta del governo sul piano sociale ma la qualità dei rapporti di potere tra chi fa la legge e chi ne è il destinatario. Mettendo a nudo la tossica autoreferenzialità della rappresentanza politica. E’ questo il grande tema da immettere anche nella campagna per il no al referendum costituzionale in Italia.

Perché ci serve davvero la Costituzione? Perché stabilisce le regole democratiche del gioco politico, dobbiamo dire, perché parla del potere, e impone limiti al potere e ai poteri. E soprattutto configura la possibilità di rimetterli in discussione e spostarli verso il basso. Tutto questo, ovviamente, se c’è una politica fatta di popolo che voglia e sappia servirsene.
Per questo e altro ancora, che cosa rimanga in Francia delle mobilitazioni e dell’esperienza di Nuit debout e dell’intera esperienza, è un problema che ci riguarda. O dovrebbe riguardarci.

Commenti

  • nino

    e’ un articolo il 49.3 della costituzione francese veramente obbrobrioso, permette che un testo di legge possa passare senza il voto del parlamento.Basta semplicemente l’assenso del governo.E’ proprio il frutto marcio del colpo di stato del 1958, fatto in algeria dai generali francesi lì stanziati, che aprì il potere a de gaulle a parigi.

  • Marco

    Condivido in gran parte l’analisi fatta qui della situazione della sinsitra francese. Tuttavia c’è una speranza di ritrovare una sinistra di progresso sociale con i vostri corrispondenti francesi della “France insoumise” ( Francia insubordinata o ribelle come volete) del leader Jean -Luc Melenchon che raggiunge nei sondaggi per la presidenziale tra il 15 e 20 % . Pero’ Melenchon tiene ormai un discorso di sinistra radicale che consiste nel rompere discussioni con la social- democrazia di Hollande e di dire apertamento che bisognera’ uscire dai trattati europei( se la Merkel non ci raggiunge !) per ritrovare una politica di progresso sociale in opposizione al liberismo e al potere della finanza. Gli elettori della sinistra radicale che aspettavano una critica concreta dei trattati europei ( abolire per esempio la direttiva europeista “distaccamento dei lavoratori” che mette in concorrenza i lavoratori francesi ed europei…) Ormai sono piu numerosi gli elettori di sinistra questi ultimi mesi ad appoggiare la candidature di Jean -Luc Melenchon.
    Per altre informazioni vedere il suo blog ; www. blog de Jean- Luc Melenchon e il sito JLM2017.