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Lunedì, 24 novembre 2014

Modello a scarsa densità democratica

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Il crollo dell’affluenza al voto nelle elezioni regionali appena conclusesi (Emilia Romagna e Calabria), soprattutto nella prima – la “regione rossa” per storica antonomasia – è andato al di là delle previsioni giornalistiche, che già scommettevano su un “solo” 60% dell’afflusso. Tuttavia il crollo richiede letture non contingenti né definitive. Non è infatti soltanto un calo di inaspettate proporzioni, su cui si possa ragionare in termini meramente politici, se non politicisti, come troppo spesso avviene. Quel calo inaspettato è il significante di un complesso intreccio di cause, alcune delle quali vengono da lontano e si sono andate solidificando come portato di un mutamento all’indietro non solo delle forme, delle regole, della semplice partecipazione elettorale ma dell’antropologia umana democratica; mutamento che le ricette neoliberiste vanno accentuando  e strutturando in un modello di rappresentanza sempre più vuoto e formale, in un’idea di relazioni sociali e di esistenze individuali sempre più atomizzate e competitive.

Modello a scarsa densità democratica, anzi, in molte occasioni e come tendenza generale della contemporaneità, a comatosa densità democratica. Un modello che potrà rivelarsi letale per la democrazia se non ci sarà un forte cambio di passo nel trend discendente delle forme della democrazia e soprattutto della sua ratio costituens. Un passo che interroghi di nuovo in profondità le cose, i nessi – quello fondamentale tra la vita delle persone e lo statuto della democrazia – la visione del mondo. A cominciare dalle domande delle nuove generazioni, che certamente non sembrano scommettere granché su quel che resta della grande tensione democratica della modernità.

Ci sono  poi cause non secondarie di più vicina o stretta contingenza politica, che hanno avuto un peso non indifferente nei risultati finali di queste regionali. Sicuramente hanno avuto il loro bel peso perché in larga parte e da tempo fanno parte di quella rivolta dei sentimenti popolari contro gli sprechi, la corruzione, l’agire da casta privilegiata dei gruppi politici e delle rappresentanze istituzionali da essi promosse. Le ultime indagini sulle “spese pazze” dei consiglieri regionali e le dimissioni dei governatori delle due Regioni, e  le beghe politiche, la pochezza dei risultati amministrativi, il peso del pregresso: di tutto e di più, insomma, che ha impattato come un macigno su tendenze più di fondo, moltiplicandone gli effetti.

Le Regioni sono diventate lo specchio amplificatore di una fenomenologia che possiamo ascrivere alla peggiore politica amministrativa e politica tout court che mai si sia data in Italia e che non accenna a diminuire. Come non scompare quell’idea di impunità del potere che ha accompagnato l’iter in discesa della credibilità delle Regioni, nell’arco dei  tredici anni trascorsi dall’infausta riforma del Titolo V della Costituzione, che non poco ha contribuito a moltiplicare i danni dell’ingordigia e della tracotanza istituzionale.

Quel sentimento di rivolta popolare è ancora là e non può ritenersi superato, non può oggi essere catalogato come in via di sgonfiamento, identificandolo con il destino forse declinante – o forse non ancora – del grillismo. Grillo e il suo movimento hanno infatti offerto un canale entro cui si è manifestata, in modo caotico e troppo spesso tra schiamazzi populisti, l’esplosione del rancore e della rabbia popolare, con l’aggiunta decisiva degli effetti sociali della crisi economica. Alla base di questa esplosione di rancore o anche di sdegno civile, o di insofferenza estetica o altro, c’è però, in aggiunta non di poco conto,  qualcosa di più profondo, un elemento di crisi in qualche modo storico-antropologico, che oggi, con l’avvento d Renzi e del suo teatrale annuncio sul nuovo che arriva e il vecchio che deve retrocedere, e dopo una lunga fase di sofferenza, viene a compimento.

Oggi soprattutto e in modo emblematico, in Emilia Romagna. Siamo cioè di fronte – forse in modo irreversibile forse no, ma le cose non saranno più certamente come prima – alla rottura del rapporto sentimentale, di appartenenza e di riferimento ideale, vero e proprio statuto esistenziale, della sinistra come è stata in Emilia Romagna – zoccoli duri e annessioni generazionali che sono continuate nel tempo- con il partito di riferimento, le sue trasformazioni ma anche le sue biografie, il suo Pantheon, le sue memorie. E la forza ancora sussistente dei corpi intermedi, a cominciare dalla Cgil, dall’associazionismo democratico, da tutto ciò contro cui Renzi ha alzato le barricate della sua deprivante innovazione. I suoi modi di fare e il sentimento dell’anima che manifesta,  da vero performer della rottamazione dell’anima altrui, lo rendono contiguo a Margaret Thatcher, quando la Lady di ferro spiegava che l’economia non era che un mezzo della sua strategia, l’obiettivo essendo quello di cambiare l’anima e il cuore della gente. A cominciare ovviamente dai minatori britannici di allora e per far passare poi le ricette neo liberiste. Renzi mette in scena le Marte con  creature al seguito, perché anche lui vuol cambiare l’anima della gente.

Il combinarsi delle varie cause che stanno dietro i risultati regionali mette in evidenza problemi inediti, di cui non deve sfuggire la portata di vera e propria sperimentazione politica che può seguirne. L’Emilia Romagna di Guazzaloca, sindaco di destra a Bologna nel 1999; l’Emilia Romagna dei primi successi grillini, con Pizzarotti sindaco a Parma nel 2012: tutto questo sta a dimostrare che quella Regione ha le potenzialità di un vero e proprio laboratorio sperimentale e che donne e uomini di là sanno mettersi alla prova. Ci provano. Ci hanno provato anche in questa occasione con un astensionismo che più di sinistra non potrebbe essere e con un voto al leghista Salvini che più di destra non potrebbe essere.  Viviamo infatti una fase di smottamento rispetto alla fase di assestamento dei rapporti tra la politica e i corpi intermedi, così come si erano configurati nel vent’anni a egemonia belusconiana – e di fluidificazione ulteriore dei sentimenti di appartenenza.

Alla ricerca del nuovo spazio della sinistra? Ovviamente, Sel scommette su questo. Ma con la precisazione, che per me è elemento costituente, che se c’è oggi chi ancora pensa che la scommessa di ricostruire una significativa forza di sinistra sia non solo astrattamente necessaria ma politicamente possibile, quel “chi”non può non fare i conti con la durezza del periodo che viviamo e con la  nettezza e radicalità con cui gli attori politici in ascesa nel panorama italiano affrontano la partita. I due Mattei stanno a dimostralo. I mezzi toni, gli estenuanti tatticismi operati tra le pieghe delle cose, lo sguardo al dito anziché alla luna non servono a un bel niente. Anzi contribuiscono a mandare tutto in malora più di quanto già non sia.

Commenti

  • Guido Conti

    Ieri ho votato SEL a Bologna anche perché penso che alla deriva non ci sia mai fine ed anche perché sono proprio d’accordo sull’analisi sopra esposta in relazione agli esiti antidemocratici delle ricette neoliberiste….Ma sono ancor più d’accordo con le ultime 4 righe del commento di Elettra Deiana…Lì e solo lì sta la posta per provare a giocarla quella partita….Faccio parte anche anagraficamente della generazione politica che si affaccia al “potere” e penso ci sia da decostruire inizialmente l’idea del desiserio individuale affermatasi prepotentemente, ma che si potrebbe scontrare e aggiungo finalmente, con la necessità storica di una proposizione dell’idea del desiderio collettivo 2.0…..La questione centrale mi pare quindi una lotta culturale senza quartiere al consumismo degerativo….ma non tralascerei l’autoreferenzialità di cui ancora la nostra parte del campo soffre…un esempio su tutti è il perseverare nell’accumulazione delle cariche o delle candidature, scommettendo molto poco sulla politica e molto sull’istituzionalismo amministrativo, strumento utile ma non a mio parere decisivo…..Un saluto speranzoso!