Sei in: Home › Attualità › Notizie › Non c’è niente di più antipolitico di certa politica
Lunedì, 17 febbraio 2014

Non c’è niente di più antipolitico di certa politica

Bisogna parlarne ancora, non assuefarsi a ciò che è successo come se si trattasse del solito avvicendamento di governo, di cui sono piene le cronache nazionali. E invece riguarda la devastante crisi della politica che ci opprime. E viene prima del chiedere all’ex sindaco di Firenze che cosa intenda fare, una volta arrivato alla stanza dei bottoni.

Nella mossa compiuta da Matteo Renzi per togliere di mezzo Enrico Letta da Palazzo Chigi e subentrarvi, c’è la traccia di un guasto dei sentimenti che inquieta, la preminenza di un’antropologia umana che sembra aver perso ogni sia pur minima memoria della nobiltà dell’agire politico e si esercita in un crudele gioco del potere per il potere, senza scampo né mediazione né compassione per l’avversario. Enrico Letta, simulacro, immagine, corpo dell’avversario diventato via via il nemico da abbattere. Sfiduciato all’improvviso – apparentemente però, perché la manovre erano in gestazione da tempo, compreso l’attacco mediatico al capo dello Stato che del governo Letta è stato il Lord Protettore, in un intreccio perverso di calcoli tra il nuovo segretario e l’opposizione interna, quella variegata componente di sinistra, preoccupata soprattutto di salvare la legislatura e insieme logorare il potere del nuovo inviso segretario. Anch’essa adusa, questa sinistra, ai segreti giochi di qualche palazzo, nel caso proprio il Nazareno. Che cosa ha a che vedere la polis, la dimensione pubblica delle cose, la tutela del bene comune, il governo di un Paese in sofferenza come il nostro, con la strategia dell’acchiappa tutto appena è a portata di mano, costi quel che costi, e non guardarti indietro? Niente, proprio niente. Giudizio ovvio, dice anche il 64% dell’opinione popolare, sconfortata dall’improvviso cambio della guardia. E’ solo l’ennesimo disastro della democrazia e della politica. Un regalo agli strateghi dell’antisistema, Non c’è niente di più antipolitico di certa politica.

Matteo Renzi forse non è soltanto questo – c’è da augurarselo e non soltanto per lui – ma sicuramente è molto questo. E bisogna proprio per questo sottolineare un punto essenziale: la critica al modo della conquista del Palazzo non è una parte a parte rispetto al giudizio complessivo da dare sull’aspirante nuovo premier. Non è l’impazienza giovanile di cui parla Sergio Romano sul Corriere della Sera né un deficit di galateo istituzionale.

La mossa che mette in scena l’inganno retorico verso il popolo sovrano, fino a ieri vezzeggiato come il dominus che avrebbe dovuto legittimare, col voto, l’avvento del Renzi modernizzatore, e fa questo proprio mentre si apprestano gli agguati per far fuori il vecchio inquilino di Palazzo Chigi, una mossa così non è soltanto forma, soltanto “questione di metodo”. E’ già pienamente politica. E’ la politica di Matteo Renzi, funambolo, giocoliere, mattatore del nuovo che avanza ma nello stesso tempo imitatore spregiudicato della politica d’antan, quella della prima Repubblica, felpata e manovriera, democristiana e consociativa, che finì come finì, con lo sconquasso dei vecchi partiti e la lunga fase della crisi della rappresentanza democratica, del sistema politico-istituzionale fondato sulla Costituzione, della politica tout court. Crisi che dura, si complica e si aggrava e non si riesce a trovare un punto per uscirne. I guasti dell’anima, dei sentimenti, delle relazioni umane sono diventati una componente imprescindibile della politica.

Sono politica della crisi e si riproducono in estensione e profondità, diventano un tutt’uno col grande circuito mediatico, che ieri sembrava prostrato al seguito di Enrico Letta e dei suoi viaggi in giro per l’Europa e gli Emirati arabi, per promuovere gli affari del nostro Paese, e oggi ce ne trasmette in dissolvenza l’immagine sbiadita, ormai lì lì per precipitare nel dimenticatoio delle cose orami senza importanza. Solo uno striscione di saluto militante all’ex premier sotto la sua casa a Testaccio, messo là dalla locale sezione del Pd.

La mossa azzardata produce nuovi azzardi e complotti, puntigliosità da manuale Cencelli e patetiche minacce da parte di Alfano. Siamo di nuovo in piena Prima Repubblica, tutti i vizi ma nessuna delle certezze, certo alla lunga ingannevoli – ma questo è un altro discorso – che per una fase avevano allora funzionato e assicurato futuro al nostro Paese.

La nuova pagina della vicenda politica mette altro veleno sugli sconnessi sentieri della democrazia di casa nostra. Renzi è il terzo premier – prima di lui Monti e Letta – che riceve l’incarico e probabilmente diventerà capo del governo senza nessuna legittimazione elettorale.

Non ci sono violazioni della Costituzione, viene spiegato dai Talk show compiacenti, c’è il Parlamento che poi aggiusta tutto, col suo voto di fiducia. Che volete di più? Appunto il Parlamento, quello di cui in altri momenti si dice tutto il male possibile, perché costa, non lavora, rallenta, è un ingombro alla governabilità. Soprattutto anch’esso in dissolvenza nella sua legittimità popolare, tenuto all’occasione all’oscuro della crisi e delle sue ragioni, messo nell’impossibilità di dire la sua sull’operato del governo destituito, e poi chiamato a mettere il timbro di legalità costituzionale all’operato del Nazareno, come ultimo simulacro di una democrazia formale ormai priva di passione civica, legami sentimentali con la sofferenza del Paese, sostegno popolare.

Che le parole riacquistino un senso e un significato, corrispondano a cose, fatti, realtà. Questo dovremmo volere perché la politica torni a essere strumento dotato di senso, forza e legittimità. Che ogni significante abbia un significato preciso, circoscritto, identificabile.
Democrazia è significante dal significato sempre più incerto, labile, interpretabile a seconda delle circostanze, delle opportunità, dei personaggi che prendono in mano il boccino. Così la Costituzione è a uso variabile, mentre la crisi economica e sociale arrivata a un punto di insostenibilità come mai in passato, alimenta, insieme al rancore popolare e all’odio anticastale, anche il disprezzo per le forme date della democrazia, a partire dalle rappresentanze democratiche.

Chi rappresenta chi? Che cosa rappresenti? La nazione, il tuo gruppo, gli amici del bar, il territorio, i cittadini? Boh, chissà. Mentre la rete diventa terreno di sperimentazione di nuove forme di partecipazione democratica che non dovrebbero essere lasciate alle abilità egemoniche di Grillo e Casaleggio e allo straparlare degli anfratti rancorosi della società. Che non sono la stessa cosa ma possono confluire negli stessi effetti.

Il paradigma dello stare al mondo con tempestività, attenzione al cambiamento, cura dello cose che mutano nel giro di un mattino e non possono essere lasciate là per troppo tempo, come la disperante e disperata realtà delle nuove generazioni, non è altra cosa dallo stare alla democrazia. I giovani, ragazze e ragazzi, e la democrazia. Un bel problema. Bisogna cercare di rimetterne insieme senso sentimento semantica, oltre che regole, alimentare a tutti i livelli un’autentica insofferenza civica verso l’uso politicamente mutevole e accondiscendente del significato di quella parola. Valorizzare la molla alla partecipazione, trovare forme che la facciano pesare, con risultati nelle mani dei giovani che vi si dedicano.
La politica di Matteo Renzi ha a che fare?

Commenti