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Giovedì, 10 luglio 2014

Nostalgia canaglia o gocce di memoria

Da più parti, dai dirigenti di Sinistra Ecologia Libertà, dallo stesso Nichi Vendola, ascoltiamo e assumiamo la necessità di rilanciare il partito, nei luoghi dell’opposizione, come sfida a Renzi nel campo della sinistra, dei diritti, della tutela delle persone, del lavoro, della lotta ai diktat europei. Il dibattito interno, tra i militanti, nei territori, a tutti i livelli, discute dell’errore di chi si è dimesso, di chi è uscito da SEL arrendendosi al partito della Nazione, quello del decreto Poletti e Lotti, di come è stato fatto, ma anche della necessità di non arroccarsi su esperimenti di una certa sinistra radicale-intellettuale che potrebbero risultare stantii, vecchi e antiquati.

Esperimenti, di federazioni o costituenti, che andrebbero a scartare quell’ipotesi di sinistra plurale, propositiva e di governo che era, e continua ad essere, la ragione di vita di Sinistra Ecologia Libertà. Si apre il dibattito insomma, mai fermo, su cosa debba essere la sinistra in Italia, si guardano i modelli di Syriza e di Podemos, si fanno ipotesi di posizionamento. Io credo che quello su cui bisogna ragionare, visto che si apre il nuovo tesseramento, è: perché dovremmo, e più di noi, dovrebbero farlo persone che vorremmo partecipassero e si avvicinassero alla politica, tesserarsi a SEL? Cosa proponiamo? Ma piuttosto, come lo proponiamo?

Sono convinta che questo governo non risolva la vita delle persone, che sia assolutamente carente nell’ambito dei diritti, che stia producendo una serie di decreti che precarizzano ancora di più la vita delle persone, che non dica nulla in materia di ambiente e anzi persegua la distruzione del territorio, a partire dalle trivellazioni nei nostri mari e dal regalare ancora la terra alle forze armate (MUOS). Credo che in Europa Renzi rispetterà i patti, quelli con la Merkel, che continuano a impoverire e creare miseria, e farà i conti con il pareggio di bilancio piuttosto che con i cittadini. E penso che dobbiamo stare all’opposizione, adesso, perché non c’è nulla in questo governo che miri a dare attenzione agli ultimi ed alle fasce deboli della società. Anzi, è un governo che alimenta un sistema generatore di disuguaglianze e povertà. Ho letto la lettera di Nichi, che invita a entrare e cambiare il partito, questo Paese e il mondo, che è poi la spinta essenziale che porta ognuno di noi a fare politica. Eppure c’è qualcosa che manca: è quel “come si fa” a cui ognuno prova a dare, a suo modo, una risposta. C’è chi ricorda le grandi vittorie, quelle dei referendum e delle buone amministrazioni, chi decide di non ricadere nella nostalgia dei tempi che furono e avverte invece l’esigenza di segnare una cesura con progetti passati. Io credo invece che sia utile riprendere alcuni punti essenziali, per capire dove siamo e qual è il nostro campo di agire il cambiamento.

Credo che, se è vero che il progetto di Italia Bene Comune ha perso e che riproporlo tale e quale, sul piano nazionale, sarebbe un’operazione di pura follia, essendo cambiati quadro ed interlocutori, oggi va indagata e approfondita invece quell’idea di Bene Comune che, sebbene non abbia vinto alle scorse politiche, continua a vincere, quando messa in pratica, in molte amministrazioni. Un’idea che rappresentava, per me e molti di noi, uno straordinario avanzamento nel campo della sinistra. Non penso che questo sia un atteggiamento nostalgico, ma un riconoscimento che è punto di partenza, senza il quale si torna indietro, a quella canzone di Gaber, “Cos’è la destra, cos’è la sinistra”, a cui avevamo provato ad accennare una risposta.

Bene Comune significava, e significa tuttora, rendere le persone protagoniste della vita propria e degli altri, della vita collettiva, della Res Publica e delle sue risorse, provando ad abbattere uno degli effetti più drammatici della crisi che stiamo vivendo: le immense solitudini. Bene Comune significava chiamare i cittadini e le cittadine ad una partecipazione attiva alla politica del territorio, del lavoro, del Paese, colmando una distanza abissale tra istituzioni e persone. Sarebbe estremamente riduttivo pensare a Italia Bene Comune solamente come alleanza di Sel con il Pd, tanto quanto mi è chiaro che quel cartello, così riproposto non avrebbe oggi un senso. Quello spirito va però ricostruito, con altre parole, con un linguaggio nuovo, che apra un percorso di partecipazione attiva della società e che dia il senso di una politica non ristretta al Palazzo o ai grandi vertici, ma praticata in mezzo e con le persone, terreno su cui Renzi sta perdendo, preso dai grandi vertici, dai tatticismi di partito, dalle grandi manovre riformiste, più interne che reali.

Gli intellettuali, quelli della lista Tsipras e altri modelli. No, non mi sento pronta a scrivere una tesi su Gramsci, ma certo è che una qualche domanda sulla figura che gli intellettuali hanno nella lista Tsipras, avendo Sel con loro un rapporto, sul concetto di intellettuale e di dirigente bisogna farsela. Cosa hanno prodotto o producono in termini di percezione della politica o di risposte alla crisi gli intellettuali della lista Tsipras, o piuttosto quanto sono “soggetto a sè”? Quanto, pur non essendo organici al partito, riescono a incidere sui cambiamenti culturali, a dare direzione a masse sempre più disgregate e fatte di solitudini? O se vogliamo dirla con i termini d’inizio millennio, quanto attraversano e danno una direzione alla moltitudine? Potremmo considerare gli intellettuali digitali, gli opinion e i policy makers, intellettuali di oggi? Chi è pronto a suggerire risposte ai problemi del Paese: solo e soprattutto gli intellettuali o anche quel gran corpo sociale di precari, scienziati, laureati e dottori che vivono le difficoltà della crisi e nel contempo formulano alternative? Quanto Grillo o Renzi, comico e one-self-man, hanno saputo dare una risposta, chiaramente differente e opinabile, alle persone? Quanto Sinistra Ecologia Libertà riesce, tramite dirigenti ed intellettuali e quali, mi chiedo, “se” ed “o” quelli della lista Tsipras, ad essere quel partito che spiega le ragioni di una sofferenza dilagante e riesce, attraverso un processo di partecipazione, a tradurla in proposta politica?

Questo lo dico perché penso che dobbiamo avere l’ onestà intellettuale di chiarire i rapporti di Sinistra Ecologia Libertà non solo nei confronti del Pd, giustamente, ma anche dell’esperienza della lista Tsipras, evidenziandone gli aspetti positivi, in termini di energie liberate, ma chiarendone anche i rapporti. Così come credo che, in termini generali, non serva l’apologia del conflitto, quanto piuttosto ne sia necessaria l’esegesi. Se dovessi parlare di funzione rappresentativa del conflitto, a malincuore dovrei al momento citare Grillo, la sua espressione della rabbia, e in un certo senso della ribellione. Falsa, ingannatrice, ma così percepita. Quanto invece il conflitto, la denuncia, la rabbia, l’esasperazione anche, sono necessari a generare l’incontro tra persone e politica? Credo che anche su questo punto Sinistra Ecologia Libertà abbia rappresentato un avanzamento. Penso che abbia detto, o meglio così io l’ho interpretato, che il conflitto non basti a sé stesso, che è necessario coglierlo, attraversarlo, ma che l’obbiettivo debba poi essere non solo rappresentarlo, ma tradurlo in forma e proposta politica, di governo. Producendo un incontro. La filosofia dell’incontro genera molte suggestioni e apre la strada al compromesso e alle mediazioni. Non possiamo praticare la strada dell’incontro tentando esclusioni e tagliando possibilità di interlocuzione.

E’ utile, secondo me, in questa fase, più che dibattere su eventuali collocazioni, alleanze o nuove soggettività politiche, riprendere quel vecchio dibattito tra forma e sostanza della politica, e ancor più tra teoria e pratica politica. Lo dico perché sembra evidente quanto la proposta di Sinistra Ecologia Libertà appaia poco comprensibile al Paese. Non bisogna liquidare, come abbiamo fatto in passato, l’idea del ruolo di Sel, ma sembrano lontani quei giorni in cui questo dibattito era vivo, in cui si discuteva, in maniera organizzata, di partito liquido, mezzo e non fine a sé stesso. Quella discussione è stata abbandonata troppo velocemente e non ha saputo supportare tutti i passaggi successivi, i cambi di fase, ritrovandosi infine oggetto di qualche sciocca battuta odierna, nello scioglimento o meno nelle fila del Pd. Ma quel dibattito rappresentava una grande innovazione, scardinava l’idea del partito novecentesco e apriva gli orizzonti a nuove forme di partecipazione e costruzione collettiva del domani. Liquidità del partito non significava scioglimento, ma piuttosto apertura degli spazi e dei luoghi della politica, attraversamento della società, inclusione. Ad una debolezza nella gestione di questo concetto si è fatto fronte da un lato con una scarsa cura della comunità, scambiando la liquidità con la non-appartenenza, come se Sel fosse precaria di per sé, dall’altro lato, per provvedere ad una necessità di strutturazione, si è proceduto con la chiusura e una sorta di settarizzazione eccessiva dei corpi dirigenziali, tralasciando l’apporto più interessante di quella forma liquida, ovvero il suo carattere inclusivo. Allo svilimento culturale dell’era berlusconiana il nostro leader contrapponeva un lessico complesso che restituiva dignità e pienezza alla politica, e questo rappresentava una novità, un’alternativa, nella forma, ad una politica che non parlava più a nessuno. La forma di una politica che era nella sostanza, alternativa. Questo è uno dei punti centrali per me oggi.

Trovare il linguaggio, chiaramente non solo del leader, che parli alle persone, nella fase mutata in cui oggi ci ritroviamo. La novità più interessante, nei termini di comunicazione politica sembra essere oggi quella di Renzi, che ha cambiato radicalmente il rapporto tra forma e sostanza. Berlusconi aveva praticato una forte scissione tra le due, appaltando la forma ai maghi della comunicazione aziendale e immettendo logiche pubblicitarie e di mercato nella pratica politica. Era questa un’immensa novità, dove prima la comunicazione faceva parte della politica in sé, e anzi ne era elemento caratterizzante. Si pensi al ruolo della propaganda politica di tutto il ‘900, ai manifesti, agli slogan, dove tutto era in mano ai dirigenti, che su quelle proposte, dettavano il più delle volte le linee politiche. Il passaggio segnato da Berlusconi è stato seguito da tutti gli altri. Non c’è politico che non abbia colto il messaggio, mettendolo in pratica più o meno bene, ma tanto da rappresentare un cambiamento del fare politica nel suo insieme. Fino all’arrivo di Renzi. Renzi sceglie, coscientemente, che la comunicazione politica deve rientrare a far pienamente parte delle segreterie di partito. Il suo staff, i dirigenti, e persino i suoi, sono gente di comunicazione, che sa comunicare, cresciuta con Facebook e Twitter, gente del XXI secolo. La forma ritorna sostanza della politica e ne costituisce la parte più importante. Lo stesso Grillo, per quanto innovativo, non era riuscito a cambiare tutto e si era mantenuto su una forma di stampo ancora berlusconiano, basata sulla dicotomia buoni vs cattivi, appaltata al mentore Casaleggio. Di fronte a un così imponente cambiamento delle forme, a partire dal successo della rottamazione, tanto brutto come termine quanto riuscito per segnare un cambiamento, Sinistra Ecologia Libertà non può non fare i conti con la sua comunicazione ed i suoi strumenti, perché la comunicazione non è più, come nel ventennio berlusconiano, un orpello vincente, più o meno bello, della sostanza, re-styling di un buon cartello, ma diventa sostanza stessa. Possiamo dire che quello di Renzi sia un velo di Maya, che occulta un governo di larghe intese, certo, che la sua sostanza in sé stessa è ingannatrice perché dietro alla “velocità” delle riforme si nascondono leggi e trasformazioni ai danni del Paese.

Ma allora dobbiamo trovare la nostra forma che indichi la nostra sostanza. Non si tratta di copiare modelli, e dico – non si tratta di copiarne alcuno. Si tratta piuttosto di capire le nostre parole e quelle che sono più comprensibili ad una società che ha difficoltà a capire “terra di mezzo”, piuttosto che “terra degli ultimi”, che comprenderebbe meglio, ma lancio solo alcuni esempi, “cantieri del domani” piuttosto che “conferenza programmatica”. Sono solo alcuni spunti per dire che a quelle tante relazioni e documenti che dettano la nostra linea politica, che per me rimane la costruzione di una sinistra di governo, è necessario dare un volto: immediato, perché quando un volto lo vedi devi riconoscerlo. Un volto che parli alle persone e non si guardi allo specchio. Questo processo può essere costruito solo a partire da una raccolta di idee, da un’elaborazione collettiva, anche al di fuori degli iscritti o militanti del partito. Dalla costruzione di quella rete degli amministratori in tutto il Paese che ormai abbiamo e che però manca, dalla formazione di luoghi e momenti di partecipazione che spaziano dalle primarie nella scelta dei dirigenti, di qualsiasi livello, alla formazione di luoghi decisionali, utilizzando nuove piattaforme del web. La preoccupazione che sento non è solo come ci presenteremo alle prossime elezioni, regionali o amministrative, o di quanti pezzi stiamo perdendo. Ma quella di trovare il modo di aprire le porte di casa, invitare le persone a entrare e fare in modo che ci rimangano, perché sanno di essere indispensabili a cambiare, in meglio, questo Paese. Troviamo il modo di farlo, e troviamolo presto.

Assemblea nazionale Sel – Tilt!

Commenti

  • sergio

    il lavoro è l’unico distinguo tra destra e sinistra, dobbiamo lavorare su i soggetti sociali vicino a noi, anzi dove siamo nati. Basta precarizzare la dignità dell’uomo, si all’occupazione indeterminata.

  • Guido Conti

    Questo scritto mette al centro la necessità di far emergere una rete di messaggi “vincenti” per non soccombere dopo aver riaperto una partita di lotta politica e sociale che oggi registra un affanno che a mio parere è in relazione al “colpo di coda” inconscio, del PD nazionale, che pur di stare nel concetto di potere autoreferenziale ha palesato finalmente la propria trasformazione antropologica, uscendo, forse irrimediabilmente, a destra dalla propria crisi di visione. Le contraddizioni e le giravolte socio-economiche degli ultimi dieci anni oggi sono state superate dall’approccio culturale di management d’impresa dentro al Governo, esplicitato col concetto di Governance, ossia, tagliare gli spazi democratici (elezioni di quartiere, provinciali, ecc…) è oggi il surplus, il profitto richiesto dal potere finanziario nel socio-sistema capitalistico per accumulare ancora e riprodurre iniquità e disuguaglianza…..La cronaca politica dell’informazione quotidiana embedded, nella forma e nella sostanza, che sembra un ganglo insostituibile per celare “le verità nascoste”, ha grosse responsabilità antidemocratiche, ma d’altronde la contro rivoluzione berlusconiana ha declinato per anni questo modo di spoliticizzare le persone abituandole anche in tal senso alla semplice consumazione….
    Ora, dato che l’ho fatta fin troppo lunga, il modo più semplice che apparentemente sembrerebbe meno efficace per organizzare messaggi politici persuasivi è avere l’ostinazione di produrre senso, di credere nelle proprie proposte, di agire con la coerenza del “personale è politico” e non viceversa, di “dare il nome giusto alle cose”, di vivere la politica come forma di liberazione e non come “dovere civile”, di narrare la storia senza sconfittismo scambiato per realismo, di uscire dal conformismo di maniera per combatterlo, non rispettando le regole della consuetudine dei palazzi istituzionali o partitici anche rischiando la derisione, ma soprattutto tenendo ben presente che siamo ancora degli iper privilegiati occidentali che beneficiano di risorse di ogni tipo che facciamo mancare ad altri come fosse normale…
    Un saluto speranzoso!

  • Elettra Deiana

    Cara Giulia scrivi molte cose che condivido e soprattutto mi sembra importante che nuove voci, di giovani donne in particolare, si facciano sentire nel merito di quello che Sel farebbe bene a fare o almeno tentare di fare. La conferenza programmatica intanto, come tu opportunamente suggerisci, potrebbe chiamarsi diversamente e soprattutto prevedere un percorso che ne faccia veramente l’occasione di un coinvolgimento di energie, intelligenze, saperi, proposte che vengano dall’intellettualità diffusa – giovani generazioni innanzitutto ma, com’è ovvio per noi di Sel e anche Tilt, non solo giovani – e dalle pratiche di resistenza che nella società si danno. Resistenza pratica e intellettuale, non di stampo ideologico – da cui fuggire a gambe levate come il diavolo l’acqua santa – ma resa quanto mai necessaria se non si vuol soccombere agli avvolgenti performativi dispositivi mediaticocomunicativipolitici, che gli attori della governance neoliberista mettono in atto in mille modi e direzioni per fluidificare, oltre ogni possibile fluidificazione, i legami sociali e quel che rimane del patto sociale novecentesco. Quello che, dopo le tragedie mondiali, entrò con passo di gloria nelle costituzioni europee e ora vi giace come un corpo morto o residuale. Tilt potrebbe avere una parte nella preparazione e nella conduzione delle giornate della conferenza di ottobre, nella messa in cantiere dei modi che ne facciano effettivamente un appuntamento degno di questo nome. Credo che sarebbe un bel passo avanti per Sel. Partito fluido: Sel dell’inizio usava questa terminologia? Io non ricordo che questo termine sia stato usato a quel tempo. Avrei avuto da ridire perché ho sempre pensato in termini diversi l’innovazione della forma partito. Innanzitutto l’acquisizione in chiave di attualità dell’articolo 49 della Costituzione, che potrebbe rispondere ancora in modo efficace ai problemi della contemporaneità. E poi decostruzione teorica e pratica di tutto quello che permette il consolidamento di poteri dati (no ai cerchi magici, no al cumulo delle mansioni, no all’eternità delle cariche, no ai caminetti e alle segrete stanze, no al maschile che si ostina a riprodursi per ostinazione narcisa di se stesso e complicità femminile ecc. ecc.) e allargamento di tutto quello che garantisce la partecipazione, la sperimentazione, la ricerca a tutti i livelli che la contmporaneità rende necessari. Soprattuto i nuovi linguaggi e le nuove tecnologie. Una nuova semantica: da qui occorre ancora ripartire, oggi quanto mai necessaria, dove la forza della comunicazione si riempia della forza delle cose e alla capacità di sentire il sentimento popolare corrisponda quella di interpretarlo concretamente, costruiendo cultura e pratica politca in grado di ridare senso alla parola “sinistra” . Tu dici che il problema è soprattutto “come si fa”, ma io credo che il problema sia anche “che cosa si fa, affinché sia chiaro che si tratta di cosa che ha a che fare con una ridefinizione e ricollocazione di sinistra”. Renzi se la ride di fronte all’accusa che gli viene fatta di promuovere una torsione autoritaria con le sue riforme. E dal suo punto di vista non ha torto. Perché non è la forma che assumerà lo Stato dopo il passaggio delle riforme Boschi, ma lo svuotamento completo della democrazia e delle sue istituzioni, che nel frattempo è avvenuta, non solo per colpa di Renzi ma che lui conduce a un esito finale, con la riduzione delle medesime istituzioni a maschera della distanza abissale che si è creata tra il popolo/elettore – sempre meno popolo/cittadino – e la rappresentanza democratica. La banalizzazione dell’ordine del discorso politico-costituzionale, un discorso da bar: questa è l’arma micidiale nelle mani di Renzi, con la scia di banali demagogie di cui è maestro: ridurre i costi, l’efficientamento dello Stato (i pastrocchi non renderanno niente più efficiente, ovviamente), Bruxelles in attesa spasmodica (a Bruxelles interessano soltanto le riforme o controriforme del lavoro, delle privatizzazioni, del pareggio e via di seguito). Che cosa sta avvenenendo della geografia politico-sentiementale del ventennio berlusconiano, in generale e di quella di sinistra in particolare, dopo l ‘uragano chiamato Maatteo Renzi? Molte cose erano già cambiate beninteso, e l’uragano è sopravvenuto proprio per questo. Ma proprio per questo tutto cambia molto più celermente, ponendo nuovi problemi. Il contesto è diverso, dici giustamente tu. Diverso, ok, ma in che senso? Dobbiamo chiarire i contorni del nostro agire, individuare gli interlocutori possibili, dare mano a tutto quello che costruisce scambio e dialogo. Ritrovare a fondo la capacità di fare i conti con la realtà sociale, questo è un punto di fondo, anche per i “Canieri di domani”, o di oggi. “Tsipras” ha mosso delle forze: di testimonanza, con non poche rigidità d’antan, ma anche di nuova partecipazione. Un punto del “che fare”, per Sel, quello di “Tsipras”, serissimo perché ci abbiamo, giustamente, scommesso, e perché pieno di contraddizioni tutt’altro che di facile soluzione. La faccia di sinistra del Pd che si espone all’esterno (Civati). Il M5S che con tutta evidenza attraversa una fase di evoluzione da cui forse uscirà trasformato. Insomma torniamo al punto di partenza: Sel, per tutti questi motivi, deve uscire dal galleggiamento, dare forma, voce, risonanza – anche con voci nuove, questo è un altro punto dirimente – alla sua politica di opposizione perché oggi una sinistra di governo degna di questo nome è solo quella che si sperimenta nel pensare e realizzare passi diversi dalle micidiali ricette che il neoliberismo ci va propinando e che Renzi, nel migliore dei casi e in attesa di charirci le idee sulla natura del renzismo, non appare in grado di contrastare veramente.
    Un’ultima nota: il conflitto non è uno stato d’animo né dell’anima, e non è riducibile a una nostalgia ideologica. E’ una pratica della politica, come altre – mediazione, condivisione, sottrazione ecc – positiva o negativa o inutile a seconda dei contesti, delle intenzioni, dei risultati. M asicuramente siamo su questo d’accordo. Un grande abbraccio, Giulia e grazie per il testo che hai scritto.