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Mercoledì, 12 marzo 2014

“Quote rosa” a chi?

L’8 Marzo al Quirinale la professoressa Amel Grami ci ha raccontato della nuova Costituzione Tunisina in cui l’articolo 46 sancisce e definisce la parità tra uomini e donne in tutte le assemblee elettive. Anche il parlamento italiano in questi giorni ha affrontato il tema della democrazia paritaria che è stato avvertito dalla maggioranza dei parlamentari che l’ha bocciato come una minaccia.

Di democrazia paritaria si parlava, nonostante fuori e dentro l’aula si sia utilizzata l’espressione “quote rosa” per definirla. Non si tratta di questo. Dire, come abbiamo fatto con gli emendamenti firmati da donne di tutti i partiti, che vogliamo un parlamento fatto da metà donne e metà uomini non è parlare di quote rosa. Non è nemmeno rivendicare un diritto e neppure un privilegio: è una scelta politica quella che abbiamo proposto al parlamento, figlia della convinzione che sia interesse del Paese che la realtà entri nelle istituzioni.

E’ questo il senso dell’articolo 51 della Costituzione, la qualità della democrazia e non certo un tiro alla fune sulle poltrone. Ed è anche quello che dimostra un recente studio della Banca d’Italia in cui emerge in modo misurabile come la presenza delle donne nelle assemblee elettive si traduce in un maggior investimento in istruzione, nei servizi pubblici, in un calo della corruzione.

Molti in questi giorni, dal Movimento 5 stelle a Forza Italia, hanno detto che le donne dovrebbero contare sul proprio talento e sui propri meriti. Ma veramente c’è qualcuno che pensa che nel parlamento italiano ci sono meno donne perché hanno meno talento degli uomini? Veramente c’è qualcuno che pensa che le donne non sono ai vertici delle imprese perché hanno meno talento degli uomini? Che non dirigono i giornali perché hanno meno capacità dei direttori uomini? Parlare in questo modo di “merito” è chiudere gli occhi di fronte alla realtà piena di quegli ostacoli per le donne che la politica ha il compito di rimuovere nell’interesse generale.

L’avremmo potuto e dovuto fare ieri nel voto alla Camera. Perché il paese ha diritto di vedere rappresentata nel parlamento la propria immagine a specchio: quella della metà del mondo fatto da donne e della metà fatto da uomini.

Al contrario il voto segreto ha nascosto misoginie e conflitti interni ai partiti e ha fatto emergere quanto la democrazia paritaria sia vissuta come minaccia. Il premier Renzi e il Pd hanno in questo contesto fatto una scelta e hanno scelto il patto con Berlusconi sull’italicum: un errore democratico serio.

Chi ha votato contro nascondendosi dietro il voto segreto, il Pd in primis, ha sacrificato una battaglia di civiltà alla difesa del patto con Berlusconi per una legge elettorale che ridurrà la democrazia con le liste bloccate, con soglie di sbarramento pari solo a quelle della Turchia e che determinerà la riduzione dell’attuale presenza in Parlamento delle donne. E si è preso così una grandissima responsabilità. Ma è solo la prima puntata.

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