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Martedì, 14 ottobre 2014

Se le buone alleanze producono i frutti del cambiamento

Ha ragione Norma Rangeri quando, parafrasando Gertrude Stein, risponde a chi scrive al Manifesto ragionando sul presente e il futuro della sinistra: “il territorio è il territorio” e non esiste una linea nazionale che possa imporre le alleanze ai partiti territoriali. Non è solo una questione di sfere di autonomia, ma un punto delicato di strategia politica.

Voglio partire dalla triste “intimidazione istituzionale” di Alfano: mentre moltissimi comuni trascrivono i matrimoni omosessuali contratti all’estero, dal Viminale giunge la nota circolare per cancellare le trascrizioni. Una mossa reazionaria, che mostra quanto spesso siano i territori l’avanguardia, mentre la politica nazionale non si accontenta nemmeno di andare al traino: si fa freno del cambiamento, istanza di conservazione, anzi di ripristino del passato.

Non è un caso isolato. Sono molte le risoluzioni di comuni e regioni che vanno nella direzione di un’estensione dei diritti e anche di una sperimentazione di nuovi modelli di convivenza e uso degli spazi: penso al caso di quest’estate risolto dalle Regioni “contro” la Ministra Lorenzin sulla fecondazione eterologa, ma ancor prima ai registri delle unioni civili, all’uso terapeutico della cannabis, all’introduzione dell’RU486, alle deliberazioni in materia di edilizia sociale, alle sperimentazioni sulla mobilità sostenibile o sulla promozione delle nuove forme di lavoro. Questi risultati sono frutto di mediazioni virtuose in cui la sinistra gioca un ruolo importante.

I primi 100 giorni da consigliere del Piemonte mi rimandano la medesima impressione: in poco più di tre mesi abbiamo visto approvate una mozione sulla denuclearizzazione, la richiesta di istituzione di un fondo salva-sfratti, la legge sulla reintroduzione della rappresentanza studentesca nell’Ente per il diritto allo studio universitario e lo stanziamento di 6 milioni in più per le borse di studio. Nell’ultima seduta di consiglio è passato un atto che restituisce agli studenti figli di famiglie più bisognose e alla scuola pubblica finanziamenti che negli scorsi anni, con la Giunta Cota, erano andati in misura scellerata alle scuole paritarie. Questi e altri risultati non sarebbero stati possibili senza Sinistra Ecologia Libertà, che li ha imposti all’ordine del giorno, senza quei consiglieri del Partito democratico e delle altre forze di maggioranza che hanno lavorato insieme a noi e li hanno appoggiati o promossi in prima persona, e senza i movimenti “fuori dal palazzo”, dagli studenti alle mille associazioni impegnate ogni giorno sui fronti dell’ambiente e della lotta all’esclusione sociale.

Esistono quindi, pur tra mille difficoltà, esperienze locali di veri “governi di cambiamento”. Al governo della nazione, invece, da anni si succedono esecutivi che di “riformista”, nel vero senso del termine, hanno ben poco. Penso alle riforme che cambiano la vita delle persone, estendendone i diritti e migliorandone la condizione, come sono stati il divorzio e lo statuto dei lavoratori (sì, proprio lui!). Molte indagini demoscopiche (senza dimenticare i referendum per i beni comuni) mostrano che in Italia esiste una maggioranza sociale a favore di politiche diverse da quelle praticate negli ultimi 30 anni di neoliberismo e neoconservatorismo. Esempi possibili: aumento delle tasse sulle grandi ricchezze, estensione di eguali diritti alle coppie omosessuali, eutanasia, un vero diritto all’aborto, l’estensione del voto amministrativo agli immigrati e la chiusura dei CIE. Un governo “riformista” dovrebbe partire da qui, ma il governo Renzalfano compie altre, inaccettabili scelte.

Insomma, la contraddizione fra esperienze locali di centrosinistra e “larghe intese” a livello nazionale c’è, ma non va usata contro “i territori,” bensì contro l’alleanza tra i democratici e i diversamente berlusconiani. Ciò da cui dovremmo partire per contrastare la deriva “dell’estremo centro” renziano è proprio l’innovazione sociale e politica di esperienze come quella di Pisapia a Milano, di Zedda a Cagliari, o di Mimmo Lucano a Riace, di Vendola in Puglia, di Zingaretti nel Lazio. Solo considerando suo quel bagaglio, la sinistra, anche radicale, potrà opporsi al paradigma politico egemone in Europa e in Italia e sperare in un futuro di cambiamento che non sia sinonimo di contrazione dei diritti e precarizzazione delle vite, ma di giustizia e inclusione.

*Capogruppo Sel, Regione Piemonte

Fonte: il quotidiano il Manifesto

 

 

 

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