Sei in: Home › Attualità › Notizie › Se lo sport viene messo in un angolo…
Lunedì, 5 maggio 2014

Se lo sport viene messo in un angolo…

pallone

I commenti del giorno dopo la finale della Coppa Italia di calcio finiscono tutti con la medesima frase: episodi come questi non devono più accadere. Parole che, anche se ispirate dal più sincero dei propositi, lasciano dietro di sé un retrogusto di ipocrisia. Perché questi episodi sono accaduti, accadono, e accadranno fintanto che non sapremo andare alla radice della questione. Il catalogo dei misfatti che mette insieme violenza e corruzione calcistica, potere dei clan malavitosi che si sostituiscono alle istituzioni, tifoserie di ultrà che inalberano striscioni razzisti nella muta compiacenza delle società si ripete, di campionato in campionato.

L’uccisione di Raciti a Catania alcuni anni fa, l’incredibile vicenda della partita Italia-Serbia a Genova poco dopo, il clima surreale con cui si disputa ripetutamente il derby della Capitale. E più in generale i microepisodi domenicali di molti nostri stadi nei quali l’incidente è perpetuamente sfiorato. Lo sport è messo all’angolo, proprio nei suoi valori originari e peculiari, e quella che è diventata oramai, dati alla mano, la quinta o sesta voce per fatturato annuo dell’economia italiana assomma in sé quasi tutte le distorsioni di cui si appesantisce questo paese, senza che vi sia mai un punto fermo da cui risalire la china.

“Tutto quello che so della vita l’ho imparato dal calcio”, soleva dire Albert Camus in un tempo così diverso dal nostro, per quanto ci stia appena dietro le spalle. Oggi questa metafora viceversa si tinge sempre più di scuro e l’insegnamento che ci viene è soltanto a perdere. A cominciare dal confronto con quel che succede in quasi tutta l’Europa, dove la politica ha saputo estirpare una volta per tutte l’intreccio perverso che faceva, anche lì, del campo di pallone l’imbuto intasato dove riversare ogni tensione sociale nel suo massimo grado di violenza. E si è restituito un gioco, una passione popolare, ai ragazzi, alle famiglie, allo svago che può essere accanito ma corretto e festoso. E’ un fatto di regole? Senz’altro.

Di regole certe, applicate con tempestività ed esemplarità. Ma è ora di dire che la cultura delle regole, così labile nel nostro dna, non può reggersi da sola in uno spazio sospeso, e assai poco produce se non poggia su una cultura della convivenza e del rispetto dell’altro in ogni comparto sociale, dunque anche a ridosso del campo di calcio. E sempre deve valere l’esempio del comportamento meditato e responsabile, tanto più quando chiama in causa figure che si caricano, per il solo fatto di rappresentare un’istituzione, di un valore prima di tutto simbolico. Non vanno collegati fatti in sé diversi, ma è disdicevole veder scorrere le immagini del gestaccio di un sindaco verso i tifosi di una squadra della sua città come reazione isterica ad una contestazione. La cultura della convivenza e del rispetto dell’altro va praticata. E va insegnata a partire dalle scuole.

Non è un modo per prendere il discorso alla lontana, occorre invece riflettere sul fatto che questo sempre meno accade nell’orizzonte disordinato e turbolento della nostra società, fino al punto di disconoscere che è proprio questa la radice del problema che sta davanti a noi e che si manifesta con regolare puntualità domenicale. Cultura delle regole e cultura della convivenza e del rispetto vanno alimentate insieme, non c’è nessuna partita su questo terreno che si giochi in due tempi, né ai supplementari. Questo è il compito di una buona politica. “La prima delle mie riforme, quella dove investire ingenti risorse materiali e immateriali, sarà intellettuale e morale”. Il giorno in cui ci sarà un presidente del consiglio che pronuncerà queste semplici parole, quel giorno potremo dire che episodi come quelli di questi giorni scompariranno una volta per tutte dalla nostra cronaca grigia.

Commenti