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Lunedì, 8 giugno 2015

Violenza sulle donne sempre più tra le mura domestiche. Basta con logiche securitarie: servono educazione e prevenzione

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I nuovi dati dell’Istat sulla violenza maschile sulle donne sono in realtà dei dati vecchi con l’aggravante dell’oggi. Confermano la verità che conosciamo da tempo. E cioè che le forme più gravi di violenza fisica o sessuale sono esercitate da compagni, familiari o amici (75,7% dei casi) e che tre donne su dieci, tra i 16 e i 70 anni, hanno subito una qualche forma di violenza fisica o sessuale, da una persona che conoscevano benissimo. Un fenomeno che nasce, cresce e si evolve nella cultura di questo Paese e che può essere contrastato solo con gli strumenti che stanno all’origine di questa cultura. Quindi in primo luogo con l’introduzione dell’educazione all’affettività nelle scuole come ci viene richiesto dalla Convenzione di Istanbul e in secondo luogo con il potenziamento dei centri antiviolenza, per aiutare i percorsi di autodeterminazione delle donne che hanno subito violenza.

Negli ultimi cinque anni, come rileva l’Istat, è cresciuto il numero delle donne che hanno trovato il coraggio di denunciare: dal 6,7% all’11,8%. Mentre le donne che hanno parlato con qualcuno della violenza subita passano dal 67 al 75% . Sono segnali importanti che sottolineano una nuova consapevolezza e sono il frutto anche di un lavoro di sensibilizzazione fatto in questi anni da associazioni e istituzioni. Nel 60% dei casi di violenza in cui è stata presentata querela o denuncia sono stata interrotti definitivamente i maltrattamenti.

La riflessione come al solito deve investire la politica in modo tale da orientare in maniera corretta il nuovo piano d’azione “straordinario” contro la violenza sessuale e di genere. Soprattutto alla luce di un altro dato: otto vittime di violenza domestica su dieci sono mamme. Il Governo dovrebbe mettere in campo nuove politiche del lavoro e dell’abitare per permettere dei percorsi di autonomia economica. Strumenti di welfare per non lasciare da sole le donne che si lasciano alle spalle una vita di violenze anche e soprattutto familiari.

Continuare ad affrontare questi temi con un atteggiamento inutilmente securitario o con la logica che ormai questo governo mette in campo davanti a qualsiasi ipotesi di reato (l’inasprimento delle pene) significa negare in sé la matrice culturale e sociale del fenomeno.

Il Governo preferisce assecondare coloro che mettono in guardia dalla “teoria del gender”, figure medievali che rivendicano il diritto di insegnare ai proprio figli gli stereotipi di genere e l’omosessualità come malattia da curare. L’educazione sentimentale invece ha semplicemente come obiettivo quello di educare alle relazioni con l’altro, chiunque esso sia. Vuole andare incontro alla risoluzione dei conflitti, al rispetto per le altre culture e alla parità di genere. Attivare degli spazi di confronto e di prevenzione alla violenza, all’omofobia e al bullismo.

Il Governo e il Parlamento su questo tema non hanno fatto nulla, dimostrando di essere asserviti ad un’ideologia integralista capace di comprare paginate di giornali nazionali e di avvalersi di costosi strumenti di propaganda per raggiungere le famiglie. Insomma anche con questa riforma della scuola si dimostra di non avere a cuore i futuri uomini e donne di domani.

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